Il pressing di Verdini per avere poltrone: niente fiducia (per ora)

Ala-Sc pretendeva due ministri ma potrebbe accontentarsi di quelche sottosegretario

Il pressing di Verdini per avere poltrone: niente fiducia (per ora)

Se una possibilità c'è, di «ricucire» lo strappo tra Pd e Ala-Sc, si gioca nella partita per la nomina dei sottosegretari che si chiuderà la prossima settimana.

Verdini e i suoi, il giorno dopo il clamoroso no al governo di Paolo Gentiloni, sembrano più disponibili a ritrovare un accordo. Ma alla Camera non partecipano al voto di fiducia al governo, proprio come il M5S. E alla vigilia del voto a Palazzo Madama, dove il loro peso è maggiore (18 senatori, più determinanti dei 16 deputati), spiegano: «Sospendiamo il giudizio, non votiamo né contro né a favore».

Verdiniani e zanettiani si lamentano, protestano, minacciano anche. Non smentiscono l'offerta di cinque poltrone, tra viceministri e sottosegretari. Insufficiente. Sembra che Denis, nella riunione infuocata di lunedì a via Poli, abbia chiamato direttamente Matteo Renzi per lamentarsi, mettendolo in viva voce perché sentissero tutti. Ma non c'è stato niente da fare. E il portavoce della federazione Ala-Sc, Mariano Rabino, ora spiega: «Volevamo due ministri, ma Gentiloni ci ha offerto solo ruoli di viceministro o di sottosegretario».

In questo momento, però, non sono poltrone da buttar via. E allora bisogna vedere quante e dove. La conferma di Enrico Zanetti come viceministro dell'Economia dovrebbe essere il primo incasso, anche se lunedì sembrava che lui fosse tanto infuriato da voler rifiutare, lasciando il Mef. Si aspettava la promozione a ministro e di avere accanto anche Saverio Romano, titolare di un altro dicastero. Invece, anche il posto di sottosegretario alla Cultura di Antimo Cesaro (Sc) in questo momento sembra a rischio.

Eppure, trattative febbrili sono ancora in corso e Verdini è più che deciso a far pesare quei 17 mesi di sostegno alla maggioranza renziana, tutti quei banchetti per sostenere il Sì al referendum. Che ci riesca, è tutto da vedere.

Nel primo round, sulla lista dei ministri, hanno prevalso le pressioni della sinistra Pd e di Ncd, soprattutto la convinzione di Gentiloni e di Matteo Renzi, che con Ala-Sc fuori c'era tutto da guadagnare e che la solidità di un governo nato per durare pochi mesi non giustificasse una perdita d'immagine così pericolosa.

Un po' d'instabilità, poi, potrebbe far comodo anche all'ex-premier, se è vero quello che dice Vincenzo D'Anna: «Renzi ha interesse a un governo debole, perché vuole andare a votare velocemente, subito dopo il congresso del Pd».

Gentiloni e il premier ombra sono convinti di non rischiare più di tanto, al Senato, di avere la maggioranza anche senza «sporcarsi» le mani con Ala-Sc. Ignazio Abrignani, però, avverte, che il governo farebbe meglio a «non dormire sonni tranquilli». Perché, fa i conti, «i numeri al Senato ci sono, 166 (la quota di sopravvivenza è 161, ndr). Ma sappiamo che un governo è fatto anche di ministri e sottosegretari che sono senatori e spesso sono assenti». È vero, gli incidenti di percorso, soprattutto nelle sedute ordinarie, sono probabili e garantire le presenze in aula, rincorrere i senatori a vita e transfughi vari, per Gentiloni sarà un lavoro supplementare.

Il gruppo di Ala-Sc chiede dunque «un chiarimento politico», ricorda che fino a ieri ha garantito alla maggioranza un cuscinetto quandoi dissidenti Pd andavano per conto loro, come sulle unioni civili.

Ora, dice qualcuno, «il governo sarà ostaggio del volere della minoranza». Verdiniani e zanettiani spiegano la dichiarazione di guerra di lunedì con motivazioni alte, non con le poltrone. «Abbiamo fatto una scelta politica di livello e disinteressata», assicura D'Anna. Ci credono in pochi.

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