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Pressioni del premier a La7. E Mentana lo sbugiarda

Il direttore replica alla nota di Palazzo Chigi: "Ma quale censura. Il mio è un telegiornale libero"

Pressioni del premier a La7. E Mentana lo sbugiarda

«L'Italia non è il Venezuela di Chavez, e la tv non è la buca delle lettere del governo». Ieri sera il duello Mentana-Conte (via Casalino) si è arricchito di un nuovo scambio di sciabolate.

Il direttore del Tg di La7, nell'edizione delle 20 di ieri sera, ha prima diligentemente dato lettura del verbosissimo e debordante comunicato, laboriosamente concepito in quel di Palazzo Chigi tra il venerdì santo e il lunedì dell'Angelo, in cui lo si bacchettava per aver criticato il premier. E poi ha replicato per le rime alle accuse di Palazzo Chigi Secondo cui il giornalista, contestando a Conte un «uso personalistico delle reti unificate con l'attacco alle opposizioni», aveva sostenuto «la singolare opinione secondo cui il presidente del Consiglio non dovrebbe smentire fake news e calunnie nel corso di una conferenza stampa».

Per Mentana il comunicato del tandem Conte-Casalino costituisce una sorta di pressione indebita del governo sull'informazione: «La libertà è una cosa seria e noi preserviamo la nostra, nel rispetto di chi segue questo telegiornale e tutti gli altri telegiornali. Spero che venga preservata ancora, nonostante comunicati molto scomposti», è l'auspicio del direttore del Tg La7. Il presidente del Consiglio «ha tutto il diritto di indirizzarsi al paese e ha gli strumenti per farlo. Ed è giusto ascoltare quando ci sono notizie, provvedimenti, svolte da chi sta guidando il paese, ed è il premier. Ma non le polemiche politiche. Per cosa? Le fake news?» E affonda: «Hugo Chavez in Venezuela può pretendere di intervenire in televisione quando, quanto e come gli pare. In democrazia però non è permesso».

La vicenda Mes, oltretutto, è molto «controversa», ricorda, e le posizioni «molto dure e sguaiate» di Matteo Salvini e Giorgia Meloni (peraltro, ma questo Mentana non lo dice, posizioni identiche a quelle espresse dallo stesso partito del premier, ossia M5s, e avallate dal capo del governo) potevano essere smentite «con un post, un comunicato, un'intervista per ristabilire la verità».

Ma non può «esser data la possibilità ad un capo del governo per intervenire su quello che vuole, quando vuole, perché questo non succede nella democrazia, diversa da tutti gli altri sistemi perché c'è l'opposizione, un elemento di equilibrio e pungolo. E quando sbaglia rafforza chi governa».

Il giornalista ricorda poi di aver spesso criticato Salvini «su migranti, Ong, Carola Rackete, 25 aprile, censimento dei rom, sui 49 milioni, su Savoini e la Russia. Sulla citofonata di Bologna, quando non era più ministro del gioverno Conte». Mentre gli attuali fustigatori grillini di Salvini, incluso il presidente del Consiglio, «sono stati zitti o hanno approvato perché erano d'accordo o perché i loro beniamini erano alleati di governo».

«Voglio ricordare - aggiunge perfidamente - che si è anche votato entusiasticamente per sottrarre Salvini ad un processo, anche grazie all'expertise di un omonimo dell'attuale presidente del Consiglio, anche lui Conte, anche lui premier». A «tutto c'è un limite», conclude la sfuriata contro Conte, «Anche al fatto di volere l'ultima parola. Se ci tengono la lasciamo a Palazzo Chigi, contenti loro...

».

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