Politica

Pressioni, sms e nomine Il silenzio del Quirinale nella guerra delle toghe

Sotto accusa l'attivismo dei portavoce di Mattarella nel Csm. L'incontro al Colle.

Pressioni, sms e nomine Il silenzio del Quirinale nella guerra delle toghe

A ddolorato, preoccupato, indignato. Chi in questi mesi ha potuto percepire gli umori del presidente della Repubblica per lo scandalo che scuote il Consiglio superiore della magistratura ne ha colto la piena consapevolezza della gravità della situazione. Una preoccupazione resa esplicita a giugno dell'anno scorso, quando l'esplosione della vicenda portò alle dimissioni di mezzo Csm. Più taciturna adesso, davanti alle intercettazioni depositate dalla Procura di Perugia al termine dell'indagine a carico del pm Luca Palamara, leader di Unicost. Intercettazioni che, insieme a un universo di intrallazzi e di cattiverie, chiamano in causa la stessa figura del capo dello Stato, che del Csm è - a norma della Costituzione - il presidente. Ora Mattarella si trova davanti alle prove esplicite del malcostume che regnava nell'organismo da lui stesso presieduto. Poco conta che al Csm Mattarella, come i suoi predecessori (tranne Francesco Cossiga) ci vada di rado: la sua presenza è forte e continua, grazie agli uomini del suo staff incaricati di tenere i rapporti con la magistratura. Che però e adesso compaiono pure loro nelle intercettazioni depositate.

Si tratta di Gianfranco Astori, Simone Guerrini e soprattutto di Stefano Erbani, di fatto il portavoce di Mattarella in Csm: fu Erbani, un anno fa, a far sapere ai vertici del Consiglio superiore che il Quirinale pretendeva le dimissioni immediate dei suoi membri investiti dallo scandalo. Ma ora lo stesso Erbani viene ripetutamente indicato nelle chat di Palamara, riportate nei giorni scorsi dalla Verità, come il dominus di una serie di nomine di uffici giudiziari. Si badi: una sorta di gradimento da parte del Colle verso le scelte più importanti c'è sempre stata, e Giorgio Napolitano esercitò più volte questa facoltà non scritta. Ma nei messaggi emersi dal telefono di Palamara, al consigliere di Mattarella viene contestata una invadenza fuori misura: «Erbani non può imperversare così», si sfoga con Palamara il collega Valerio Fracassi, consigliere della corrente progressista di Area. E ancora: «Decide tutto Erbani», «Erbani sta contattando anche Fuzio (il pg della cassazione poi travolto dall'inchiesta, ndr). Credo che esageri e merita una risposta». Fracassi è un fiume in piena, accusa l'uomo del Quirinale di parlare con tutti i capi delle correnti per influenzare le nomine e conclude dicendo «l'uomo è pericoloso, fidati!».

Vero o non vero? Fracassi in teoria non ha motivi di risentimento verso Erbani, che è della sua stessa corrente. E così oggi Mattarella si trova davanti alla difficile scelta tra il difendere il suo portavoce, rivendicandone i comportamenti, o scaricarlo. Per ora non è accaduta nessuna delle due cose.

E non è tutto. Ancora prima della intercettazione che chiamava in causa Erbani, il 5 maggio il Fatto Quotidiano pubblica i dialoghi intercorsi da Luca Palamara e Gianfranco Astori, anche lui consigliere del Presidente, che a settembre 2018 lo invita al Colle per un caffè: «Vogliamo fare da me al Q?», inteso come Quirinale, chiede Astori. Il contenuto dell'incontro non è noto. Ma è evidente la sua irritualità: in quel momento Palamara non è più membro del Csm (ha cessato l'incarico con il rinnovo di pochi mesi prima), sulla carta è un qualunque pm romano, ma continua a dettare legge nel mercato delle nomine. È in questa veste che viene invitato nel palazzo simbolo della Repubblica? E Mattarella ne era al corrente? Di certo nelle intercettazioni Palamara esibisce un affetto incondizionato verso il capo dello Stato, come quando festeggia con l'altro del suo staff, Guerrini, la bocciatura dell'impeachment di Mattarella chiesto dai grllini: «Presidente grandissimo!».

Ora sono giorni difficili, al Quirinale. Di fatto, l'involuzione del Csm, l'imbarbarimento delle sue pratiche, è avvenuto sotto la presidenza di Mattarella. È probabile, e anzi certo, che tutto sia avvenuto a sua insaputa.

Ma forse ora il Presidente si interroga se il suo ruolo di garante non comportasse una presenza più assidua e un controllo più diretto.

Commenti