Un prestito dal governo per andare prima in pensione

La formula per la flessibilità in uscita con decurtazioni degli assegni fino al 5% Lo Stato garantirà il rimborso degli interessi del piano di ammortamento di 20 anni

Un prestito dal governo per andare prima in pensione

Sull'anticipo pensionistico (Ape) c'è ancora la scritta «lavori in corso». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, che si è incaricato del dossier, sta studiando una proposta da presentare al sindacato al prossimo incontro che si svolgerà questo mese. Le ultime ipotesi di lavoro, ha rivelato il quotidiano Il Messaggero, si starebbero concentrando su un allungamento del periodo di restituzione del prestito che banche e assicurazioni concederanno a coloro che vorranno uscire in anticipo dal mondo del lavoro, a partire dall'anno prossimo. Un prestito che sarà rimborsabile in 20 anni con rate mensili di importo costante.

L'Ape, giova ricordare, è stato studiato per consentire dal 2017 ai nati tra il 1951 e il 1953 di ritirarsi fino a tre anni prima dell'età pensionabile, attualmente fissata a 66 anni e 7 mesi. Se non si è coinvolti da ristrutturazioni aziendali, ammortizzatori sociali o contratti di solidarietà espansiva (quelli che, ad esempio, consentono di «liberare» la manodopera più anziana), i cui oneri saranno a carico delle aziende, sarà lo Stato a dover garantire il rimborso degli interessi del prestito che consentirà l'abbandono del posto di lavoro. La penalizzazione dipenderà dal reddito e, secondo le ultime indiscrezioni, dovrebbe essere un po' più alta di quanto previsto inizialmente (1-4% per ogni anno di anticipo) e assestarsi nel range 3-5 per cento. Una volta raggiunta l'età del pensionamento «reale», il piano di ammortamento del prestito pensionistico dovrebbero essere esteso a 20 anni, un po' più lungo dell'aspettativa di durata media dell'erogazione di una pensione (superstite incluso) che è di circa 18 anni.

L'intenzione del governo Renzi, infatti, è cercare di alleggerire il peso della rata sulle pensioni più basse. Lo Stato sarebbe pronto persino a farsi carico non solo della quota interessi (restituendola sotto forma di detrazioni fiscali), ma anche di una parte di capitale per i pensionati che riceveranno assegni bassi. Considerato che solo la copertura degli interessi sul capitale costerebbe circa un miliardo, l'aumento della spesa dovrebbe essere in ogni caso coperto da maggiori entrate o minore uscite. E su questo fronte si sta pensando a una «penalizzazione» ulteriore per chi uscirà in anticipo con un assegno elevato. Costoro potrebbero dover pagare anche la quota interessi perdendo tra l'8 e il 9% della pensione per ogni anno d'anticipo: un efficace deterrente più che un incentivo.

La possibilità di ritirarsi fino a tre anni prima di quanto previsto dalla legge Fornerò sarà estesa anche ai dipendenti statali. Come anticipato dal Giornale, l'intenzione dell'esecutivo sarebbe però quella di «sanzionare» coloro che sceglieranno questa opzione. La decurtazione applicata sarà nella fascia alta del range e, pertanto, potrebbe attestarsi - se questi piani fossero confermati - tra il 4 e il 5% annuo. Alla base di tale intendimento ci sarebbe il minore premio di rischio che pagano gli statali che, in quanto tali, non hanno praticamente nessuna possibilità di perdere il proprio posto, a differenza di chi lavora nel privato che, pertanto, sarebbe meritevole di una maggiore tutela.

«Bisogna muoversi perché il tempo non è un fattore indipendente», ha incalzato il segretario

generale della Cgil, Susanna Camusso. L'intenzione dell'esecutivo è tenere separato il tavolo sulle pensioni da quello sulle problematiche del lavoro. Temi che il sindacato, invece, vorrebbe affrontare in un'unica soluzione.

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