La preveggenza di Orlando. "Ho da fare in Liguria..."

L'ex ministro ha rifiutato la candidatura alle Europee. E adesso si è già offerto per guidare un fronte di liberazione dalle destre

La preveggenza di Orlando. "Ho da fare in Liguria..."
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«Non mi candiderò alle Europee perché ho da fare qui in Liguria». Così parlò Andrea Orlando il 20 aprile scorso, all'assemblea dei circoli Pd di Genova.

Poche settimane, e l'ex ministro del Lavoro e della Giustizia dem è il nome più accreditato dell'opposizione per la successione al governatore Giovanni Toti, travolto da una bufera giudiziaria. Quel giorno, Orlando annunciò di aver detto no a Elly Schlein: «Ringrazio la segretaria che mi ha offerto di guidare la lista del Nordovest - spiegò ai suoi - ma il mio compito è rimanere qui e aiutare il processo politico per cacciare la destra più pericolosa e subdola che abbia mai governato». In quei giorni, nessuno sapeva ancora del processo vero: lo tsunami di arresti, intercettazioni a strascico e fango nel ventilatore che stava per scatenarsi. O meglio, nessuno lo sapeva ufficialmente: raccontano dal centrosinistra ligure che in regione «le voci sulle inchieste giravano da mesi». Ed è facile che fossero arrivate anche all'orecchio dell'ex Guardasigilli.

Che si è fatto trovare pronto: Schlein aveva provato per settimane a convincerlo a correre per le Europee: per levarsi dalle scatole un ex alleato ora critico, dicono i maligni. Per controbilanciare una lista piena di candidati riformisti (Gori, Tinagli, Fiano, Maran) e tener buona la sinistra del partito, spiegano altri. Orlando ha aspettato a sciogliere la riserva, lasciando trapelare di essere più interessato alla Liguria.

All'epoca sembrava ancora che si dovesse votare nel 2025, e che il consenso per il centrodestra fosse difficilmente scalfibile in Liguria, visti i buoni risultati delle amministrazioni regionale e del capoluogo Genova: a molti, nel Pd, la rinuncia europea dell'ex ministro era sembrata una scelta tutta interna: «Si vuol mettere sull'Aventino, in attesa che Elly si bruci», spiegavano in molti. Ma ora si è capito che la partita ligure può essere accelerata dall'ingresso a gamba tesa della magistratura. E dopo il gran rifiuto, Orlando ha chiesto immediate dimissioni al governatore indagato, poi si è messo «a disposizione» del centrosinistra, per guidare un «fronte di liberazione» ligure dalla destra «oligarchica e predatoria».

Ma la strada non è in discesa: c'è da costruire la coalizione, ottenendo la benedizione di M5s. Per ora, Giuseppe Conte (contestato alle manifestazioni anti-Toti di Genova) non dice né sì né no, e anche l'ex candidato grillino alla regione Ferruccio Sansa apre uno spiraglietto: «Mi pare che Orlando non faccia parte di quel sistema di potere che coinvolge anche la sinistra», dice. Ma i 5S, trapela da ambienti contiani, sono pronti a tirarsi indietro e a chiedere un «modello Todde» (ossia un candidato scelto da Conte) anche per la Liguria se quella che vogliosamente l'ex premier definisce «la nuova Tangentopoli» dovesse allargarsi anche a sinistra. E il pericolo c'è: non a caso il quotidiano contiano Il Fatto ha segnalato insistentemente i forti legami politici e professionali tra esponenti anche orlandiani del «nuovo corso» filo-Schlein, che a Genova ha una sua roccaforte, e indagati eccellenti come l'imprenditore ex Pci Mauro Vianello: dal responsabile Infrastrutture e Porti del Pd Alessandro Terrile al segretario di Genova Simone D'Angelo.

Il tentativo di Orlando di scaricare il problema sul «modello di concertazione» dell'ex governatore dem Claudio Burlando ha suscitato una forte reazione di quest'ultimo: «Orlando stava a Roma e non sa nulla della Liguria dei nostri anni. Ma se uno pensa di vincere le elezioni senza parlare con le imprese, non va da nessuna parte». La guerra interna è partita.

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