Primo effetto della fiducia: il Pd in piazza contro il Pd

Dopo il "sì" al Jobs Act, i nemici di Renzi annunciano che parteciperanno alla manifestazione di Cgil e Fiom. Che però non li vogliono: "Potevano votare no"

Primo effetto della fiducia: il Pd in piazza contro il Pd

«Non saremo noi a far loro questo regalo». Matteo Renzi frena chi tra i suoi sollecita misure forti contro la fronda interna, convinto che sia controproducente esasperare un conflitto che sa di poter vincere anche senza spargimenti di sangue, che servirebbero solo a «regalare visibilità» ad una minoranza che, ai fini pratici, si rivela innocua. E che ora annuncia di voler scendere in piazza con il sindacato contro il governo e il suo Jobs Act, ma viene accolta con scarso entusiasmo dalla Cgil.

E infatti ieri il premier ha abilmente diviso il fronte dei suoi oppositori interni, rendendo omaggio alla «serietà» di Walter Tocci, che ha voluto votare la fiducia per disciplina annunciando che poi si sarebbe dimesso da senatore. «Farò di tutto per dissuaderlo», dice Renzi, «la sua intelligenza e la sua passione servono in un partito del 41%». E Tocci apprezza e fa capire che potrebbe ripensarci: «Le parole di Renzi mi hanno fatto molto piacere. Se queste sono le intenzioni abbiamo il tempo per valutare».

Il sottinteso del riconoscimento a Tocci è che gli altri tre senatori (e gli eventuali deputati) che invece votano contro il governo e le indicazioni del Pd ma poi restano incollati allo scranno sono - quanto meno - poco seri. E si qualificano da soli, senza bisogno di sanzioni. Anche perché, ora che il passaggio a rischio del Senato è stato brillantemente superato, con più voti del previsto, la strada a Montecitorio è in discesa per il governo. Che non ha intenzione di regalare alla minoranza né il «tempo» né le modifiche invocate da Pier Luigi Bersani: se ci sarà ostruzionismo si metterà la fiducia, altrimenti il Jobs Act (applaudito ieri anche dall'Ocse) verrà approvato in fretta e nella sua versione originaria. «Grande apprezzamento per la serietà di Tocci, gli altri mi sembrano non pervenuti. E vi pare che ci mettiamo noi a farne delle vittime? Basta, è una storia chiusa», taglia corto il renziano Davide Ermini. Certo, «non partecipare al voto di fiducia mette in discussione i vincoli di relazione con il proprio partito», dice il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini, ma questo non vuol dire che i frondisti vengano dichiarati «fuori dal Pd». Sono conclusioni che, se mai, dovranno trarre da soli: Renzi non si metterebbe di sicuro a lutto se il Pd perdesse un pezzetto di sinistra massimalista, ma in fondo non gli dispiace neppure poter dimostrare di saper affrontare e sconfiggere il nemico interno pur di fare le sue riforme. Non a caso la rivista Fortune ieri ha inserito anche questa tra le motivazioni del prestigioso terzo posto che il premier italiano si è aggiudicato nella classifica degli under 40 «più influenti del mondo». Renzi, spiega Fortune , è «un outsider carismatico che ha promesso di rompere gli storici legami del suo Partito democratico con il mondo del lavoro mentre persegue il rinnovamento, sfidando la zelante austerità europea», e per farlo affronta «la rigida contrarietà» di sinistra e sindacati.

Così ora la sinistra Pd annaspa, consapevole di avere pochi spazi residui di manovra e timorosa di ritrovarsi ai margini, senza sbocchi esterni. «Noi abbiamo perso e Renzi ha vinto, il Parlamento è stato svuotato», geme il senatore (non dimissionario) Corradino Mineo. Oltre al danno, i dissidenti rischiano anche la beffa: ieri i pasdaran, da Fassina a Civati a D'Attorre, annunciavano a gran voce che sarebbero scesi in piazza con la Cgil contro il Jobs Act. Ma i duri della Fiom li respingono: «Chi vota la fiducia al governo non deve venire alle nostre manifestazioni, non sarebbe gradito».

E la segretaria dello Spi-Cgil Carla Cantone (cui spetta la fatica maggiore, spedire le truppe di pensionati per cercare di riempire piazza San Giovanni, operazione che desta qualche preoccupazione in Cgil) ci mette il carico da undici: «Chi vota la fiducia a Renzi ha un'esigenza: mettersi d'accordo con se stesso, prima ancora che con la piazza».

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