Non bastava la guerra tra Apple e Fbi. Ora, sul fronte bellico della privacy, si apre anche il conflitto «digitale» tra Microsoft e il Dipartimento di giustizia americano. Il tema al centro del grande Risiko della tecno-comunicazione è sempre lo stesso: il sempre più arduo equilibrio tra diritto alla riservatezza dell'individuo e la sicurezza della società. Microsoft è scesa in campo ieri facendo causa al Dipartimento di Giustizia. Il voluminoso dossier presentato dalla multinazionale che fu fondata da Bill Gates, denuncia la frequenza crescente con cui polizia e autorità giudiziaria esigono di mettere le mani sui «nostri» dati: email e altro. Con in più, la richiesta-imposizione alla Microsoft di tenere all'oscuro il cliente, quando i suoi dati personali sono stati violati per passarli agli inquirenti.
Il fascicolo presentato dai legali di Microsoft è ricco di numeri. Solo nell'ultimo anno e mezzo, la multinazionale che ha sede vicino a Seattle avrebbe ricevuto ben 5.624 richieste di accesso ai dati dei suoi clienti, presentate dalle autorità federali (generalmente l'Fbi che agisce come polizia giudiziaria alle dipendenze del dicastero di Giustizia). Su queste quasi la metà (2.576) erano accompagnate da un ulteriore ingiunzione del giudice: non far sapere al cliente che c'è stata la «perquisizione digitale».
Nella sua causa, Micrososft sostiene che l'amministrazione Obama viola la costituzione impedendole di notificare a migliaia di clienti le richieste del governo di accedere ai loro dati e alla loro corrispondenza digitale.
In particolare sono invocati il primo emendamento sulla libertà di parola e il quarto che stabilisce il diritto per le persone e per le imprese di essere informate se il governo perquisisce o sequestra le loro proprietà.
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