Processi, rischio crac e veleni: lo strano Aventino della Lega

Carroccio ancora "in sciopero". Salvini cerca fondi con fideiussioni e Maroni si difende in tribunale da Belsito

Processi, rischio crac e veleni: lo strano Aventino della Lega

Eh, bei tempi quelli in cui dai banchi leghisti a Montecitorio si sventolavano cappi, e Umberto Bossi si presentava in tribunale a fare da claque a Di Pietro. Ieri Matteo Salvini, nuovo condottiero del Carroccio, sbarca a Visso, il paese terremotato scelto come luogo simbolo dell'Aventino leghista contro i giudici. Perché è finita l'età dell'innocenza, e alla Lega tocca provare sulla sua pelle come la giustizia condizioni la politica nella Seconda Repubblica, quanto e più che nel rebelot di Mani Pulite. Non c'è solo il sequestro dei conti correnti deciso dalla Procura di Genova, che rischia di asfissiare il partito, e contro il quale Salvini ha deciso di disertare per sette giorni il Parlamento. C'è l'ingombro quotidiano, incessante che le faccende giudiziarie costituiscono nella vita della Lega, nell'epurazione del suo fondatore e nella traumatica mutazione che punta a farne partito nazionale, abbandonando il confortevole ridotto padano.

La confisca delle giacenze bancarie, decisa dopo la condanna in primo grado di Umberto Bossi e dell'ex tesoriere Francesco Belsito, è solo la punta dell'iceberg dello scontro tra vecchia e nuova guardia, consumato dentro e fuori le aule del tribunale. In questo momento tutti i conti nazionali e locali della Lega sono sotto sequestro, compreso il più ricco di tutti, quello della Liga Veneta, e lo resteranno praticamente per sempre, visto che il totale di 49 milioni che sazierebbe la procura appare irraggiungibile, anche se i pm inghiottissero i pochi milioni in arrivo da rimborsi elettorali, tesseramenti e dismissioni. Che si arrivasse a questo punto era, viste le premesse, quasi ovvio: almeno da quando, nel 2013, il difensore di Umberto Bossi nel processo per truffa allo Stato, Matteo Brigandì, intimò alla Lega di ritirare le costituzioni di parte civile contro il Senatùr decise da Bobo Maroni e confermate poi da Salvini. Il messaggio implicito fu: se non vi ritirate, spieghiamo ai giudici che i soldi sono stati usati da voi per le campagne elettorali. A settembre 2013 un memo dell'avvocato del partito avvisò i vertici: se rinunciamo a chiedere i danni agli imputati rischiamo di apparire complici. Ma Salvini decise ugualmente di revocare le costituzioni: non solo contro Bossi, verso il quale i debiti di riconoscenza del popolo leghista giustificavano la mossa, ma anche contro Belsito, l'oscuro protagonista dei traffici in diamanti e fondi esteri. Una ritirata in grande stile, che ha fatto passare la Lega dal ruolo di vittima (la stessa Procura l'aveva indicata come parte offesa dei reati contestati a Bossi e alla famiglia) a quello di corresponsabile.

Ora in qualche modo si cerca di arrabattare i conti, cercando una fiediussione che placherebbe almeno per un po' le pretese dei magistrati genovesi, nella speranza che la Cassazione annulli il sequestro - oggettivamente senza precedenti - della cassa del partito; e c'è chi propone di ipotecare persino la sede di via Bellerio, mentre Giorgia Meloni offre agli alleati un prestito simbolico.

Ma se anche si riuscisse a evitare il crac resterebbe il dramma di un partito che vaga smarrito nei meandri degli stessi tribunali cui guardava quasi con devozione, costretto a lavare in pubblico panni che avrebbe preferito tenere privati: come ieri in tribunale a Milano, con Belsito sulla panca degli imputati, querelato da Maroni dopo aver detto a un giornalista che Bobo intascava tangenti sugli appalti in Libia.

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