E se in realtà Igor Vaclavic non fosse mai esistito? Se fosse fatto della sostanza degli incubi e delle leggende di briganti che popolavano queste terre, spaventosi e impalpabili? Il prossimo 13 dicembre, decide ieri il giudice, lo processeranno per le tre rapine feroci che nell'estate del 2015 segnarono il suo rientro in scena dopo il carcere e la mancata espulsione. Il banco degli imputati sarà vuoto. Lui chissà dove è oggi, e chissà dove sarà a dicembre, mentre lo Stato lo processerà in effigie. Invece ieri, nell'afa canicolare del tribunale di Ferrara, scivola via in carne e ossa l'uomo che del mito di Igor è il vero autore: Igor Pajdek, croato, cranio raso, quasi anziano, compatto come un paracarro, rapitore, rapinatore e assassino. È stato lui, nei suoi memoriali a ripetizione dopo essere stato estradato dalla Serbia, a offrire alla giustizia e ai mass media italiani il mito di Igor, chiamandolo in correità nelle sue imprese.
Ma Igor esiste davvero, efficiente e feroce. E a far dubitare della sua esistenza sono solo le tante faccende incredibili che si scoprono ogni volta che si mette mano alla sua saga. Ci si chiede come sia possibile che su un solo uomo si sia concentrata una simile sequenza di errori dello Stato, le superficialità, le distrazioni, le grossolanità che prima lo hanno messo in grado di colpire indisturbato e poi di sfuggire alla gigantesca caccia all'uomo organizzata per catturarlo, fallita miseramente; e con gli amici di una delle vittime, il barista di Budrio Davide Fabbri, che ieri annunciano il ricorso all'arma della taglia sulla testa di Igor. Wanted, premio in quattrini a chi lo tradirà e lo consegnerà allo Stato.
Eppure è tutto successo, è tutto vero. È tutto lì, nelle carte che ieri il pm Giuseppe Tittaferrante porta in aula per chiedere il rinvio a giudizio di Igor, di Pajdek e di Patrik Ruszo, il ragazzino del gruppo, che si è già preso l'ergastolo per l'ultima impresa, il sequestro e l'ammazzamento del pensionato Pierluigi Tartari, il 9 settembre 2015 ad Aguscello. Le carte del pm raccontano tutto. E ancora di più raccontano gli occhi di Alessandro Colombani, unica vittima della banda presente in aula, a guardare finalmente in faccia i suoi aguzzini («Non c'è Igor. Ma il conto arriverà anche per lui», dice). Non c'è Emma Santi, la novantenne sequestrata a Mesola il 30 luglio 2015 e morta pochi mesi fa, senza essersi mai ripresa da quella notte di orrore. E non c'è Cristina Bertelli, che la notte del 5 agosto dovette subire anche le mani addosso di Pajdek e la sua promessa, «se chiami la polizia ti violento con una spranga»: non ha trovato la forza di venire in aula, perché è ancora alle prese con i fantasmi di quella notte.
Ci sono le carte del pm, e raccontano altri svarioni dello Stato. Come la storia dell'Alfa 156 su cui l'1 luglio il gruppo fa i sopralluoghi a Mesola, alla casa di Emma Santi, la futura vittima: i vicini prendono nota della targa, BC167WD e la segnalano. Ma quando venti giorni dopo i carabinieri fermano per un controllo Igor e Pajdek, che viaggiano insieme proprio su quell'Alfa, li rilasciano subito. E quando dopo altri dieci giorni il colpo a casa della Santi viene realizzato, nessuno mette in relazione il delitto con i due tipacci che viaggiavano sull'Alfa.
Ed è un peccato, perché l'Alfa non portava solo a Igor e al suo compare, ma anche al mondo criminale che gli stava intorno. L'Alfa e la sua targa raccontano come questi banditi non siano ectoplasmi materializzatisi dal nulla, ma gente che naviga in contesti malavitosi noti da tempo eppure indisturbati. La 156 infatti è intestata a Massimiliano Ghilardi, un pregiudicato della zona. Ghilardi è italiano, ma è da sempre calato appieno, per affari e per amore, nel clan dei Beizako, i nomadi che hanno il loro quartiere generale a Berra, a ridosso del Po.
È dai Beizako che Igor Vaclavic approda dopo la scarcerazione, a gennaio 2015; lì ritrova Pajdek e conosce Ruszo; da lì parte per il suo tour di rapine e di morte. E lì, si sospetta ora, ha trovato ospitalità e rifugio durante la sua fuga. Altro che canneti e acquitrini.
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