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Prodi: Berlusconi al governo non è tabù

L'ex premier apre al Cavaliere: "La vecchiaia porta saggezza". E sferza i giallorossi

Prodi: Berlusconi al governo non è tabù

Arieccolo. Il Professor Prodi, classe 1939, due volte presidente del Consiglio italiano, una volta presidente della Commissione Ue, dice la sua a la «Repubblica delle idee», in scena a Bologna. Solite ricette: Stato, Stato, Stato. Ma anche una sorta di apertura al suo acerrimo «nemico» Berlusconi con cui ha duellato per tutta la Seconda Repubblica. «Lui al governo un tabù? No. La vecchiaia porta saggezza...». Battute a parte sull'anagrafe, forse anche il Professorone riconosce che al cospetto dei giallorossi il Cavaliere è Churchill. Infatti Prodi non esita a picchiare su Conte: «La difficoltà principale di questo governo - bofonchia come al suo solito - è la lentezza delle decisioni, il rinvio ha preso la parte troppo forte in un momento in cui c'è bisogno della decisione rapida che deve dare il senso della forza, dell'energia». Invece l'energia sembra spesa tutta per tirare a campare e rimanere incollati alla poltrona. Sul Mes, l'ex premier non ha dubbi: va preso al volo: «Credo sia giusto dire di sì ma elencare come si impiegheranno i soldi del Mes - dice - . I problemi che non abbiamo ce li creiamo. Bisogna dire subito quello che si fa con quei soldi. Noi di quei soldi ne abbiamo bisogno».

Poi butta sul tavolo qualche idea per risollevare l'economia. La ricetta è sempre quella: più Stato. «Un terzo degli alberghi sono chiusi - bisbiglia - Perché lo Stato non li compra affidando poi la gestione agli ex proprietari?». Una cosa da fare in fretta, però. «È il momento di reagire con decisioni immediate». Ma Conte sembra di più un bradipo che speedy gonzales. «Una lentezza decisionale dovuta alle attività di mediazione tra le due principali forze politiche rischia - secondo il fondatore dell'Ulivo - di penalizzare la ripresa economica vittima, a suo dire, anche di un generale e ingiustificato pessimismo». L'ottimismo di Prodi mal si comprende ma lui la pensa così: «Prima ci deridevano, ora si sente dire la via italiana. Noi abbiamo salvato l'Europa». Chissà in quale bar di Bologna o in quale ufficio di un euroburocrate l'ha sentita questa. Parla anche di sanità, messa a dura prova dalla prima fase dell'epidemia: «Sulla sanità come sistema di base la struttura regionale risponde. Il problema è il coordinamento nazionale, pur scritto nella Costituzione, il problema è farlo funzionare». E poi, sulle risorse erose proprio in quel settore: «Abbiamo asciugato progressivamente la sanità, indipendentemente che la spesa sia delle Regioni o dello Stato. Io non sono per un ritorno a un sistema centralizzato - aggiunge - ma serve un più forte coordinamento del ministero. Autonomia non vuol dire anarchia». Per Salvini e Meloni, invece, a dispetto di tutti i sondaggi, vede il tramonto vicino: «Il sovranismo non è finito ma la sua parabola è discendente», vaticina. Bocciati i 5S: «Anche i 5 Stelle hanno problemi perché hanno parlamentari con 41 voti di preferenza. Magari sono meglio degli altri ma non hanno l'esperienza che si forma con il mestiere e lo studio». E fatica pure il suo Pd: «Non fa congressi. Si è venuta a rompere la struttura locale che te li fa fare: la rete.

E questo è quello che mi preoccupa».

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