Proroga per il marò Latorre: ecco perché non è la soluzione

L'Italia chiede che il fuciliere resti altri tre mesi. Ma sarebbe solo un rinvio. E in caso di rifiuto, è probabile che il governo non lo lasci partire. Un grosso guaio per Girone

Proroga per il marò Latorre: ecco perché non è la soluzione

La Corte Suprema indiana ha accolto la richiesta italiana di esprimersi sulla richiesta di una ulteriore proroga del permesso di permanenza in Italia del fuciliere di Marina Massimiliano Latorre: lo farà domani, ovvero tre giorni prima della scadenza di quell'autorizzazione, concessa per gravi motivi di salute (Latorre è stato colpito da un ictus cerebrale nell'agosto dell'anno scorso e dopo le prime cure ricevute in India è stato trasferito in Italia per continuarle).

L'ennesimo imminente pronunciamento indiano sull'annoso caso dei due marò italiani trattenuti con l'accusa di duplice omicidio (siamo ormai a 38 mesi di una incredibile odissea giudiziaria con evidenti elementi di natura politica che la complicano ulteriormente) rischia di avere conseguenze spiacevoli. Se infatti la Corte deciderà di concedere la proroga non si sarà ottenuto che un male minore: la soluzione definitiva della vicenda sarà semplicemente rinviata di qualche altro mese, senza novità sostanziale né per Latorre, costretto a convivere con la malattia e con la spada di Damocle di un rientro in India nel prossimo futuro, né per il suo collega Salvatore Girone, che ormai da quasi sette mesi sopporta la difficile condizione dell'ostaggio di fatto del governo di New Delhi. Qualora invece la risposta dei supremi giudici indiani fosse negativa, si aprirebbe un dilemma: rimandare o non rimandare in India il marò Latorre.

Nel primo caso si tratterebbe di una miserevole resa a un abuso nei confronti di una persona malata, con immaginabili ricadute politiche romane; nel secondo, una più che comprensibile (e al momento più che probabile, a quanto è dato sapere) reazione di disobbedienza da parte italiana a tutela di uno dei nostri militari potrebbe facilmente essere pagata dall'altro. È fin troppo facile immaginare, infatti, che Salvatore Girone diventerebbe oggetto e strumento di pressioni che potrebbero arrivare al suo arresto.

E la politica italiana cosa fa? Maggioranza e opposizioni si rinfacciano le responsabilità del caso. Gasparri (Forza Italia) semplifica in un tweet le sue accuse al governo: «Massimiliano Latorre resti in Italia, Salvatore Girone torni in Italia. Sui Marò Renzi incapace e in ginocchio davanti all'India. Ora basta!». Salvini assicura che «con la Lega al governo, i due Marò sarebbero già a casa». E già che c'è non rinuncia a un messaggio di propaganda: «Renzi, stiamo arrivando!». Gelli del Pd replica trovando il modo di accusare anche di questo fallimento nazionale l'immancabile colpevole: Silvio Berlusconi. A giudizio del deputato democratico «un decreto legge del 12 luglio 2011, premier Silvio Berlusconi e ministro della Difesa Ignazio La Russa, rese possibile imbarcare militari italiani sulle navi civili ma non chiarì bene la catena di comando. Per questo si è poi arrivati al pasticcio che tutti conosciamo». Infine Elio Vito (Fi), presidente della Commissione Difesa della Camera: definisce la disponibilità della Corte Suprema «un risultato minimo, meglio che niente. Ma serve una soluzione definitiva per entrambi i fucilieri di Marina. Il punto non è rimandare Latorre, ma far rientrare Girone, tenendo conto non solo delle condizioni di salute, ma anche del diritto a veder proclamata la loro innocenza».

Non sarà facile.

Se infatti è vero che sono da tempo in corso contatti riservati tra Italia e India per cercare di sbloccare la situazione, lo è altrettanto che rimane intrecciato un nodo decisivo: la polizia antiterrorismo indiana non presenta i capi di accusa perché la Corte Suprema ha escluso l'impiego della legge sulla pirateria. Ma questa è anche l'unica che permette di perseguire i marò, poiché estende le acque territoriali indiane fino a 200 km dalle coste invece che a 12. Intanto il tempo passa e l'ingiustizia continua.

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