
Francamente, era difficile immaginare che la pace trumpiana in Medio Oriente producesse un effetto collaterale tutt'altro che irrilevante: le piazze che smentiscono sé stesse.
Non la volontà di pace ha mosso i cortei dei giorni scorsi, né la necessità di beni di prima necessità ha gonfiato le vele della flottiglia. A riempire le piazze è stata, ancora una volta, l'ideologia: quella che si nutre del tema del momento, purché serva a tenere accesa la protesta.
Altrimenti non si spiegherebbe la perseveranza delle agitazioni, pronte a smentire il proprio manifesto politico pur di continuare a esistere. Università occupate, sedicenti rappresentanti dell'Onu trasformati in comizianti, centri storici bloccati con buona pace è il caso di dirlo di commercianti e cittadini.
Prova ne sia che, mentre il Presidente degli Stati Uniti si imbarcava sull'aereo diretto alla cerimonia per celebrare lo storico accordo tra Israele e Hamas, e mentre le delegazioni dei due contendenti si preparavano a firmare il cessate il fuoco di Sharm el-Sheikh, a Milano i vigili urbani bloccavano l'accesso a corso Venezia. Proprio lì, dove avrebbe dovuto riunirsi l'ennesima manifestazione del fronte pacifista.
Per curiosità - e con la certezza di essere smentito - ho cercato in rete il manifesto politico del corteo. Mi illudevo di leggere slogan di elogio a Donald Trump e all'America, che con tutto il loro peso diplomatico avevano spinto i sanguinosi contendenti verso un accordo. Neppure una parola in tal senso.
Spiazzati dalla pace ma ben radicati nelle proprie convinzioni ideologiche, i manifestanti milanesi hanno ripetuto, con sorprendente coerenza, le stesse parole d'ordine dei cortei che nelle scorse settimane hanno paralizzato mezza Italia - non senza danni a cose e persone.
Mentre il mondo celebrava la fine di un conflitto, i marciatori gridavano ancora "blocchiamo tutto": la vendita delle armi, l'imperialismo, il colonialismo, lo sfruttamento dei palestinesi, la sudditanza culturale. Gli stessi slogan di sempre, buoni per ogni stagione e per ogni protesta, come un abito grigio da ufficio.
Ah, dimenticavo: è già in rotta anche l'ennesima "flottiglia per Gaza", ormai destinata a diventare una classica dello sport nautico mediterraneo, tra la Giraglia e la Barcolana. Peccato che, quando approderà, potrebbe trovare ad accoglierla una forza di pace guidata da Tony Blair.
Non una parola sulla pace. Non una parola su Trump, che - piaccia o meno - è l'architetto di questo accordo. Non una parola sugli Stati Uniti, capaci di forzare un alleato riottoso come Israele e convincere un'organizzazione come Hamas, che del martirio e del sangue aveva fatto ideologia.
Anzi, un certo fastidio aleggia sulla sinistra europea - e su quella italiana in particolare - oggi più ideologizzata dell'estremismo islamico che pretende di difendere. Forse perché, finiti i cortei e spenti i megafoni, ad attenderli ci sono comodi salotti e non carri armati con la stella di Davide.
L'effetto di questa pace mal digerita, l'assenza di qualsiasi riconoscimento per chi è riuscito a imporla, rivelano non solo la debolezza ideologica, ma la cinica strumentalizzazione del dramma di Gaza. Lo ricordava Marco Pannella, molti anni fa: la sinistra si ricorda dei palestinesi solo quando incontrano una pallottola israeliana.
Ora che anche i più irriducibili guerriglieri hanno accettato l'ineluttabilità della pace, ora che una forza internazionale con aiuti umanitari si prepara a gestire i campi profughi, a cosa serve più la causa palestinese agitata nei cortei? E quando la flottiglia approderà su un lido pacificato, come giustificare la violazione di acque nazionali?
Un pensiero politico laico e forte - anche se ideologicamente orientato - avrebbe imposto di non smentire sé stesso: riconoscere, pur a denti stretti, il successo dell'odiato avversario a stelle e strisce e riporre striscioni e bandiere, come ha fatto lo stesso Hamas.
Un pensiero debole e dogmatico impone invece di continuare a marciare, perché senza un nemico - Trump, Israele, Meloni, il capitalismo, la democrazia liberale, il libero mercato - quel pensiero semplicemente non esiste più.Trump non vincerà forse il Nobel per la pace, ma ha ricordato a tutti noi da che parte stia la storia. E non è quella rumorosa delle piazze, bensì quella silenziosa e pragmatica degli accordi di Sharm el-Sheikh.