Ognuno di noi, per qualche motivo, è sempre in debito con se stesso. Ci si rimprovera sempre qualcosa, una parola sbagliata o una leggerezza che può costarci cara. È una forma di protesta, insomma. Ma quando lo sanno le banche sono guai. Perché la protesta diventa protesto. Non ditelo a un imprenditore pugliese, che per errore ha incassato un assegno da 3mila intestato a una società che fa capo a lui. Dal conto Bancoposta, contestualmente, il padre - all'insaputa del figlio, probabilmente - aveva prelevato una cifra leggermente inferiore per far fronte a una urgente spesa sanitaria.
Per risolvere il pasticcio kafkiano lo sfortunato imprenditore ha dovuto firmare una «quietanza liberatoria» nella quale dichiarava che - anche se tardivamente - aveva ricevuto i soldi. Da se stesso.
«Un fatto formale - spiega il tributarista Gianluca Timpone, consulente dell'imprenditore difeso dall'avvocato Francesco Ferrari, per evitare il protesto vero e proprio e la conseguente iscrizione nel libro nero dei cattivi pagatori». Peccato che, nonostante la documentazione presentata in tempo, l'imprenditore qualche giorno dopo si sia visto chiudere tutti i conti correnti accesi presso le altre banche, bloccare le carte di credito e tutti i fidi revocati. Tutto per colpa di un assegno intestato a se stesso. In questi casi il protestato deve aspettare almeno un anno per essere cancellato dal Cerved del Crif, la centrale rischi che scheda i cattivi pagatori. È per questo che i legali dell'imprenditore hanno presentato una richiesta urgente alla Camera di commercio di Roma in cui si chiede «l'immediata cancellazione dal registro dei protesti», altrimenti l'imprenditore sarà costretto a finire in tribunale. Per avere ragione, chissà dopo quanto tempo, di un sistema governato dal peggior algoritmo umano partorito dalla politica: la burocrazia.
Costringere un imprenditore a buttare a mare le sue imprese perché è automoroso e autoprotestato è contro il buon senso. Colpa di un sistema fiscale che ingrassa l'ex Equitalia di aggio, interessi e mora e ammazza le imprese. Anche il Fisco deve far pace. Con se stesso.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.