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Protezione civile in tilt: ecco chi l'ha rovinata

Troppe teste al comando e assenza di ordini: pure il Pd ha dubbi sulla diarchia Curcio-Errani

Protezione civile in tilt: ecco chi l'ha rovinata

Una Ferrari, come la Protezione Civile, che sembra muoversi con il freno a mano tirato. Una macchina dei soccorsi che si inceppa e finisce in tilt, con il Viminale che ritorna in campo a gestire la fase operativa e diventa di fatto il centro di comando dell'emergenza. Le promesse di dare un riparo agli sfollati in tempi brevi completamente disattese nonostante i cinque mesi trascorsi dal sisma del 24 agosto. L'attribuzione delle case ai terremotati tramite sorteggio, prassi discutibile per usare un eufemismo. L'isolamento per 72 ore di interi paesi con un black out che ha interessato almeno 160mila utenze. La sensazione di una sottovalutazione complessiva dell'emergenza. L'assenza di mezzi meccanici sul posto, pronti ad affrontare una situazione di maltempo preventivata da giorni. La rabbia dei sindaci, la disperazione dei cittadini.

È un doloroso cortocircuito quello che sta vivendo l'Italia in queste settimane. Le certezze acquisite nel corso degli ultimi 15 anni sembrano improvvisamente crollate. E, inevitabilmente, ci si chiede quale fine abbia fatto il modello creato dalla Protezione civile di Guido Bertolaso, modello lodato dal'Ocse nel 2010 per la sua capacità di azione e di coordinamento con il governo centrale.

Improvvisamente, al netto della straordinaria generosità degli operatori e dei volontari costretti a lavorare in condizioni estreme, ci si domanda cosa sia stato di quell'istituzione che a L'Aquila fu in grado di assegnare 5.653 abitazioni in 100 giorni, 4.549 in muratura, 1.204 in legno per circa 25mila sfollati. Quella stessa istituzione che, per dirne una, sempre a L'Aquila prelevava ogni mattina 700 studenti con i pulmini e li portava a scuola con tanto di colazione con cappuccino e cornetto. Un servizio offerto per impedire lo spopolamento e la desertificazione di quelle zone.

Ora di quella Protezione civile - che si occupò con successo della tragedia di San Giuliano di Puglia, del Giubileo, dell'emergenza rifiuti a Napoli - è stata disarticolata la catena di comando e controllo, forse per il consueto italico timore dell'uomo forte e risolutore. Sì, perché ai tempi di Bertolaso, il capo della Protezione civile aveva la piena gestione operativa e si relazionava direttamente con il presidente del Consiglio. Poteri assoluti, insomma. Ora non è più così. La cabina di comando è confusa, è stata creata una pericolosa diarchia con la nomina di Vasco Errani, voluta da Matteo Renzi, al fianco di Fabrizio Curcio, funzionario con una lunga esperienza di gestione emergenze. Figure a cui in queste ore si è affiancato il ministro dell'Interno, oltre ai sindaci e presidenti di Regione.

Il punto, spiega chi è abituato a operare sul territorio, è che nella gestione delle emergenze servono decisioni prese in tempi brevi. Non è solo Guido Bertolaso a puntare il dito. A Piazza Pulita Agostino Miozzo, ex capo della Protezione civile europea, esprime gli stessi concetti: «In emergenza non c'è democrazia. In emergenza comanda una persona. Adesso non è chiaro quale sia la catena di comando». Convinzione fatta propria da un altro esperto di emergenze come Enzo Boschi. Una struttura policefala rischia di essere una struttura poco tempestiva. Al contrario di fronte all'emergenza è necessario agire con strumenti di emergenza, mettendoci la faccia e assumendosi responsabilità, programmando per tempo - laddove è possibile - per non trovarsi spiazzati. Se poi, come accadeva con Bertolaso, oltre al potere hai anche capacità e carisma puoi giocarti carte ancora migliori. Ma innanzitutto è necessario avere strumenti e risorse per scavalcare gli ostacoli burocratici, perché in emergenza, come dicono sottovoce anche dallo stesso Pd, «senza affidamenti diretti non si va da nessuna parte».

Al contrario la Protezione civile non è stata aiutata dagli ultimi governi, governi peraltro non eletti. E ora le pastoie burocratiche rendono tutto infinitamente più lento, nonostante gli slogan messi in campo da Matteo Renzi. Perché il progetto di prevenzione «Casa Italia», presentato in pompa magna, è rimasto fissato solo su carta.

Con la Protezione civile che si ritrova depotenziata a respingere accuse e a fare i conti con una macchina dei soccorsi inceppata e con un disperato bisogno di ripartire.

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