«Prova molto dolorosa Io ancora utile al Paese»

Berlusconi dimesso dal San Raffaele dopo 29 giorni. Ora la riabilitazione ad Arcore

C'è un linguaggio della parola e c'è un linguaggio del corpo: e alle 11.18 di ieri, quando Silvio Berlusconi sbuca dalla porta a vetri al piano terreno del San Raffaele, entrambi mandano i loro messaggi. Berlusconi parla a lungo, nella canicola, alla siepe di reporter che lo aspetta da ore: ed è un monologo che parla di sofferenza, di preoccupazione, di un futuro personale non facile, persino del desiderio di non essere più in prima linea, «spererei che non ce ne fosse bisogno». Però parla anche il corpo, parla la scena. E la scena è quella di un uomo che è stanco ma forte, e ci tiene a farlo vedere.

D'altronde stato lui, Berlusconi, a decidere di uscire dall'ospedale sotto i flash, davanti alle telecamere. In questo mese ha visto la morte in faccia, ha affrontato una operazione che segnerebbe in profondità un uomo con la metà dei suo anni. Poteva andarsene dai sotterranei, in auto, lontano da sguardi impietosi. Invece esce a piedi, da solo, senza bisogno di sostegni. Solo al momento di salire in auto, di piegare la cicatrice che gli attraversa il petto, tradisce una smorfia di dolore. Per il resto, dice il linguaggio del corpo, è ancora lui. E la mano che tiene sula spalla di Valentino Valentini sembra più una investitura che una richiesta di appoggio.

«Lascio il San Raffaele - dice Berlusconi - dopo un mese ed è stata una prova molto, molto dolorosa. Molto. Non credevo di dover affrontare tanto male. Comunque adesso mi sento un po' meglio. Mi aspettano due mesi di rieducazione poi spero dii poter essere ancora utile all'Italia e agli italiani in qualche modo. Tutto qua». È una ammissione di umanità, quasi di debolezza, senza precedenti da parte sua; ma senza precedenti è la prova che Berlusconi ha dovuto affrontare. «Sono state settimane in cui la preoccupazione prevalente era il male, e il non riuscire a dormire».

Poi, però, continua: e parla a 360 gradi, perché nelle lunghe ora insonni della suite al sesto piano ha continuato a leggere e a ragionare. Parla del «terrorismo feroce e assurdo», della situazione interazionale che «presenta una carenza di leadership incredibile», delle «sanzioni scriteriate» inflitte alla Russia, dell'Europa dove «con l'uscita dell'Inghilterra può prendere il via un processo di disgregazione». Ricorda come i padri fondatori pensassero a un'Europa «culla di civiltà» ma anche a una potenza militare, in grado di «sedersi al tavolo delle altre potenze militari»: «oggi invece noi adesso aspettiamo le decisioni degli altri, e i paesi che vogliono si accodano.

È dimagrito, la polo blu a maniche lunghe gli casca addosso un po' ampia. Ma è tonico. Quando affronta il capitolo Italia quasi si infervora, e parla dei pericoli del tripolarismo, dell'Italicum che porterebbe («sarebbe il risultato sicuro») i 5 Stelle al governo; ma soprattutto della «preoccupantissima carenza di leader», «non ci sono leader cui pensare di affidare il nostro destino e nelle cui mani poterci mettere».

Sa che una domanda incombe, ed è l'unica (oltre a quelle sul Milan) cui risponde: può ancora essere lui, uno dei leader che mancano? O, come vorrebbero i medici, è il momento del passo indietro? «Non è che uno si debba sentire leader o meno. Uno sente se può dare un contributo al proprio Paese oppure no. Spererei che non ce ne fosse bisogno: se dovesse venire fuori un bisogno spero di avere le forze per poter dare qualche consiglio».

In fondo, dice, basta poco, e anche questo è un Berlusconi in qualche modo inedito e quasi commosso: a servire, dice, «è quell'amore verso gli altri, quel buon senso, quel affetto verso gli interessi del Paese che in questo momento assolutamente manca».

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