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Pubblicate 200 pagine di verbali. Mancano (tra gli altri) tutti i documenti su Alzano e Nembro

Governo trasparente, ma soltanto a metà. E la metà che manca è quella che interessa davvero.

Pubblicate 200 pagine di verbali. Mancano (tra gli altri) tutti i documenti su Alzano e Nembro

Governo trasparente, ma soltanto a metà. E la metà che manca è quella che interessa davvero. Sono stati pubblicati ieri dalla Fondazione Luigi Einaudi i verbali desecretati del Comitato tecnico scientifico con le raccomandazioni degli esperti che sono state poi via via utilizzate per elaborare le misure di contenimento del coronavirus nei Dpcm. Oltre 200 pagine tra le quali però mancano le discussioni relative alla mancata zona rossa in Val Seriana. Forse anche perché le carte relative a quegli eventi che risalgono al 3 marzo sono finite sul tavolo della Procura di Bergamo? Mancano però anche i resoconti di altre riunioni cruciali e non è chiaro con quale criterio siano stati scelti quelli resi pubblici.

Forse soltanto per placare le insistenze incrociate dell'opposizione, del Copasir e anche della Fondazione alla fine il governo ha deciso di lasciar cadere il segreto di Stato sui verbali che ieri sono stati trasmessi tramite posta certificata dal capo della Protezione Civile Angelo Borrelli agli avvocati Enzo Palumbo, Andrea Pruiti Ciarello e Rocco Mauro Todero. In tutto sono cinque verbali: il primo è del 28 febbraio; il secondo del 1° marzo; il terzo del 7 marzo; il quarto del 30 marzo e l'ultimo del 9 aprile.

Non ci sono rivelazioni clamorose. Se qualcosa emerge dalla lettura di quelle pagine spesso è soltanto la conferma che sì gli errori, le retromarce e i cambi di direzione sono stati tanti, dovuti sicuramente anche al fatto che ci si trovava di fronte a un virus sconosciuto e a una situazione del tutto inedita. Errori che dal punto di vista scientifico sono stati già tutti ampiamente analizzati. Non era chiaro invece un altro punto: l'impressione era che fossero sempre i medici e gli esperti ad assumere il ruolo di «poliziotto cattivo» in nome del rigore scientifico, mentre emerge che alcune delle decisioni prese dal governo non sono sempre state completamente aderenti ai pareri scientifici.

MASCHERINA

«Usare la mascherina solo se si sospetta di essere malato o se si assiste persone malate».

Colpisce nel verbale datato 28 febbraio l'indicazione degli esperti a utilizzare la mascherina soltanto quando si è malati o a contatto con un positivo. Colpisce perché poi le raccomandazioni sono radicalmente cambiate: mascherina per tutti anche all'aperto senza il distanziamento. Va ricordato che erano quelle le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della Sanità che le corresse per la verità molto in ritardo rispetto al Cts italiano. Non solo: quella misura di sicurezza insieme ad altre raccomandazioni sull'igiene fanno riferimento a Emilia Romagna, Lombardia e Veneto che in quel frangente temporale, scrivono gli esperti, presentavano «una situazione epidemiologica complessa» quindi da valutare in modo diverso rispetto ad esempio a Friuli Venezia Giulia, Liguria e Piemonte perché lì non si erano verificati «casi con modalità non note».

NIENTE ABBRACCI

«In apertura il Cts esprime la raccomandazione generale che la popolazione per tutta la durata dell'emergenza debba evitare nei rapporti interpersonali strette di mano ed abbracci».

Nella riunione del 1° marzo con questa indicazione i cittadini si rendono conto di quanto il Covid stia stravolgendo la loro vita quotidiana fino a vietare la vicinanza fisica.

TERAPIE INTENSIVE

«Incremento del 50 per cento dei posti in terapia intensiva e del 100 per cento in pneumologia e malattie infettive».

È sempre nella riunione del 1° marzo che gli esperti prevedono, purtroppo giustamente, che di lì a pochi giorni la pressione sui reparti d'emergenza sarebbe aumentata vertiginosamente. Basti pensare che il 28 febbraio i ricoveri in intensiva erano 56 mentre il 7 marzo erano già saliti a 567.

PERSONALE MEDICO SPECIALIZZATO

«Necessario ridistribuire il personale sanitario destinato all'assistenza, prevedendo un percorso formativo rapido qualificante per il supporto respiratorio per infermieri e medici».

Anni di tagli del personale pesano in una situazione di emergenza e sempre il 1° marzo il Cts cerca di correre ai ripari per coprire i buchi soprattutto nella medicina di emergenza. Sarà poi necessario un intervento strutturale da parte del governo che prevederà nuove assunzioni sia di medici sia di infermieri.

IL LOCKDOWN DIFFERENZIATO

«Il Comitato propone di rivedere la distinzione tra cosiddette zone rosse (11 comuni tra cui Codogno e Vo', ndr) e zone gialle (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e le province di Pesaro, Urbino e Savona). Viene pertanto condiviso di definire due livelli di misure di contenimento da applicarsi: uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l'altro sul territorio nazionale».

Ecco questa è l'unica vera «rivelazione» che emerge dalla lettura di questi verbali perché in effetti non era noto che le indicazioni del Cts andassero nella direzione di una differenziazione delle misure di contenimento rispetto alle diverse aree. Soltanto due giorni dopo, il 9 marzo, con una decisione del governo tutta l'Italia entrò in lockdown. Nella ricostruzione dei fatti va ricordato però che in un primo momento, esattamente la sera del 7 marzo, si venne a sapere che il Dpcm che sarebbe stato emanato l'8 prevedeva il lockdown nelle zone indicate dal Comitato. La notizia diffusa la sera del 7 provocò una vera e propria fuga da Milano da parte di migliaia di persone che si precipitarono in stazione per tornare al Sud, scatenando oltretutto il panico rispetto a una possibile diffusione del virus nel Meridione con il ritorno degli studenti e dei pendolari. Una reazione che potrebbe aver indotto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a rendere omogenee le misure di contenimento in tutto il Paese. Sarebbe interessante sapere se il Cts abbia fornito ulteriori indicazioni rispetto al lockdown o se invece la decisione sia stata soltanto politica.

LA RICHIESTA DEL SENATORE

«In merito alla richiesta del senatore De Poli il Cts ritiene che si debbano applicare le fattispecie già previste per tutti i contatti stretti indipendentemente dal luogo in cui il contatto avviene».

Sempre il 7 marzo alla richiesta del senatore Antonio De Poli di chiarimenti su un eventuale rischio di contagio in Parlamento e su quali comportamenti adottare gli esperti tagliano corto: le regole che valgono fuori dalle Camere restano valide pure dentro il Parlamento.

DIVERGENZE CON LE REGIONI

«Il Cts rileva che alcune raccomandazioni e/o norme tecniche o circolari nonostante la emanazione e la distribuzione ai territori non vengano prontamente recepite dal territorio mostrando la mancanza di applicazione delle decisioni assunte. Per tale motivo al fine di dare immediata ed ampia applicazione delle decisioni e delle raccomandazioni, il Cts propone al capo del Dipartimento della Protezione civile e al ministro della Salute la eventualità di emanazione di ordinanze di protezione civile avente maggiore forza normativa».

La traduzione da questo atroce burocratese è: il governo imponga le proprie scelte alle Regioni e agli enti locali. Nel verbale del 30 marzo gli scienziati del Comitato si lamentavano del mancato recepimento delle loro indicazioni e chiedevano al ministro della Salute, Roberto Speranza, e al capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, di pretendere comportamenti omogenei in tutti i territori. Da parte degli scienziati nel corso dell'epidemia è stato segnalata ripetutamente la necessità di avere un quadro omogeneo di misure su tutto il territorio nazionale.

MONITORAGGIO SIEROLOGICO

«Il lockdown deve essere rimosso progressivamente e per fasi successive in base alla valutazione e alla gerarchia del rischio in ciascuna struttura a rilevanza sociale. Idealmente il processo deve essere supportato dal monitoraggio sierologico e dalla riorganizzazione del lavoro e dell'educazione scolastica con modalità smart (formazione a distanza)».

La parola chiave in questo passaggio del verbale del 9 aprile è «idealmente». Nei sogni degli esperti del Comitato si sarebbe dovuto riaprire con dati molto più avanzati sulla presenza degli anticorpi nella popolazione. Ma i test sono partiti in ritardo e i cittadini non hanno aderito con l'entusiasmo sperato dal governo. L'indagine di sieroprevalenza avrebbe dovuto essere effettuata su 150mila persone mentre si è fermata per ora a 64.660. I criteri dettati dal Cts per la riapertura della Fase 2 in sostanza non c'erano. Per questo gli esperti specificavano nel verbale che «la popolazione deve essere pienamente consapevole del rischio e deve partecipare attivamente alle misure di protezione predisposte dal governo».

IL SACRIFICIO DELLA SCUOLA

«Il Cts dopo aver accuratamente valutato gli scenari epidemiologici derivanti da una riapertura dell'attività didattica frontale nelle scuole e dopo aver ponderato con attenzione l'impatto che ne potrebbe derivare in termini di incremento della diffusione epidemica unanimemente ritiene...che prevalgano gli argomenti per suggerire il mantenimento della sospensione della attività di didattica frontale fino all'inizio del prossimo anno scolastico».

Così il 9 aprile gli esperti hanno decretato che non era possibile tornare a scuola. Sarebbe stato auspicabile che, con questa consapevolezza, il 10 aprile il governo si muovesse intervenendo sulle scuole chiuse.

Ma la definizione del protocollo di sicurezza è arrivata soltanto ieri e le domande senza risposta per una ripresa delle lezioni sono ancora moltissime.

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