Per Putin e i suoi è il momento della ritorsione (contro il Congresso Usa e il Senato canadese), delle minacce (Nato e nuovi potenziali aderenti) e della fermezza (sul gas, anche a costo di bluffare un po').
La ritorsione tocca deputati e senatori dei due Paesi Nord-Americani, che avevano votato le sanzioni contro Mosca. La Russia risponde ora con la stessa arma. Dal punto di vista pratico per i politici di Washington e Ottawa le conseguenze non saranno temibili, ma per il Cremlino è una maniera di tenere il punto.
Per quanto riguarda le minacce in prima fila invece ci sono Svezia e Finlandia, in dirittura d'arrivo per l'adesione all'Alleanza Atlantica. La Russia risponde alla svolta decisa dai due Paesi spostando mezzi militari verso il confine finlandese: il quotidiano britannico «Daily Mail», parla di video che mostrerebbero i movimenti di sistemi missilistici costieri del tipo K-300P Bastion-P lungo la zona di frontiera. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova aggiunge ai fatti parole pesanti, attaccando la Svezia e affermando che Stoccolma già in passato è stata al fianco dei nazisti con le sue forniture di materie prime e sostegno logistico al Terzo Reich, pur restando neutrale nella Seconda Guerra Mondiale. «Non avendo fatto i conti con il passato e non avendo ammesso di essere stati dalla parte sbagliata della storia, per loro è più difficile oggi stare dalla parte giusta», ha concluso la Zakharova.
Il messaggio alla Nato arriva invece dal viceministro degli Esteri, Sergey Ryabkov: «Avvisiamo che i mezzi di trasporto Usa e Nato che trasportano munizioni e armi attraverso il territorio dell'Ucraina saranno visti come obiettivi militari legittimi», dice con toni minacciosi Ryabkov.
Più articolate e con più livelli di lettura sono invece le parole di Putin che in una video-conferenza sull'Artico russo ha parlato delle nuove prospettive legate a un possibile embargo occidentale sul gas. «Le catene di trasporto e logistica sono state interrotte per il comportamento dei Paesi a noi ostili. Questo ovviamente ci crea difficoltà, ma abbiamo le risorse e le opportunità per trovare rapidamente soluzioni alternative», ha affermato. «Per noi si aprono opportunità e opzioni diverse. Per quanto riguarda petrolio, gas e carbone, saremo in grado di aumentare il loro consumo sul mercato interno e aumentare la fornitura ad altri parti del mondo che ne hanno davvero bisogno».
Il riferimento, evidente, è alla Cina con cui la Russia, prima ancora della guerra ucraina aveva avviato un ambizioso programma di aumento dell'interscambio energetico. Le parole di Putin sono fattualmente esatte ma pongono implicitamente in rilievo il fatto che un blocco all'acquisto di idrocarburi sarebbe un problema per l'Occidente, ma anche per la Russia.
Bloccare le tubature si tradurrebbe per Mosca in un danno economico e rischierebbe anche di danneggiare i giacimenti. E d'altra parte non è così facile trovare nuovi sbocchi. Il petrolio che arriva in Occidente viene estratto in larga misura nella Siberia occidentale. L'oleodotto che unisce Russia e Cina, «Power of Siberia» parte invece dalla Siberia Orientale. Le due reti sono separate e in mezzo ci sono centinaia se non migliaia di chilometri. Nel 2021 attraverso «Power of Siberia» sono passati 16,5 miliardi di metri cubi di gas diretti verso la Cina. Entro il 2025, l'export dovrebbe salire a 38 miliardi di metri cubi.
Un nuovo gasdotto (Power of Siberia 2) che dovrebbe essere inaugurato nel 2026 dovrebbe trasferire altri 10 miliardi di metri cubi.Si tratta di cifre ancora basse. Nel complesso la Russia esporta ogni anno circa 200 miliardi di metri cubi di gas, per l'80% diretti in Europa. Trovare nuovi compratori non sarà facile.
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