I russi stanno scatenando nel Donbass quelle che in realtà sono le loro ultime forze valide prima di affrontare un bivio per loro drammatico: fare ricorso a una mobilitazione generale per spedire al fronte dopo sommario addestramento una gran massa di riservisti (svolta che implicherebbe una dichiarazione di stato di guerra fin qui evitata con la pietosa bugia della «operazione speciale in Ucraina») oppure valutare seriamente uno stop alle ambizioni di avanzata. In questo contesto di difficoltà militare già denunciata pubblicamente anche da alti ufficiali russi crescono su Vladimir Putin pressioni di varia natura, da quelle degli oltranzisti della vittoria a tutti i costi a quelle di quanti si sforzano di indurlo a fermarsi prima di mettere in pericolo la pace sociale e la stessa stabilità del regime.
Lo confermano, mentre da noi si continua a parlare dell'esercito russo come di un'invincibile macchina da guerra, una serie di fonti internazionali che in Italia faticano a trovare la dovuta attenzione. Partiamo dal filone militare. Fonti d'intelligence britanniche calcolano che delle circa 150mila unità inviate all'attacco dell'Ucraina tre mesi fa, circa un terzo siano state uccise o ferite. Un disastro non preventivato che ha scritto sul podcast «War on the Rocks» l'analista militare Michael Kofman significa che in questo momento l'armata russa sta attaccando con forze male assortite, composte da frammenti di unità decimate. Forze cui non viene concesso riposo, per mantenere a stento quel rapporto di tre a uno necessario per prevalere sui difensori ucraini.
Ma il vero problema, sottolinea Kofman, è che i rimpiazzi per la fanteria sono insufficienti e inadeguati. Da qui ciò cui si è assistito come riporta il quotidiano Moscow Times in città come Arcangelo, Murmansk e Novosibirsk, dove sono stati visti uffici mobili di reclutamento a eventi sportivi o musicali frequentati da giovani. A Tula, 200 chilometri a sud di Mosca, un avviso dell'esercito offriva 170mila rubli al mese (2.900 dollari, quattro volte il salario medio) per una firma su un contratto di arruolamento trimestrale. Un reporter che si era finto interessato ad arruolarsi in Cecenia in aprile, si era visto offrire 300mila rubli come salario del primo mese in divisa al fronte ucraino. Anche i cittadini che hanno completato il loro servizio militare di leva si vedono offrire con insistenza paghe allettanti per contratti a breve termine.
Mosca sta anche richiamando militari russi da mezzo mondo: dalle unità regolari in Siria e nelle «repubbliche» di Abcazia e Ossezia del Sud strappate alla Georgia, ai mercenari che Putin ha inviato in vari Paesi africani. E questo mentre il partito putiniano Russia Unita manda avanti in Parlamento una proposta di legge per consentire l'arruolamento di cittadini russi sopra i 40 anni, e di volontari stranieri sopra i 30. Un'alternativa consisterebbe in un ampio ricorso alle giovanissime reclute: ogni sei mesi, la leva obbligatoria mette in divisa circa 130mila ragazzi. Legalmente, dopo quattro mesi di addestramento, possono essere inviati a combattere all'estero. Ma gli analisti concordano sulla loro sostanziale inutilità: inoltre Putin sa che susciterebbe diffuso malcontento popolare se li mandasse a morire in massa. Meglio, finché sarà possibile, cercare soldati altrove.
Quanto alle altre pressioni sul capo del Cremlino, esse giungono secondo la testata indipendente online russa Meduza, riparata in Lettonia dopo le persecuzioni subite sia da imprenditori russi che da membri del governo. I primi, con parte dei secondi, lamentano che le sanzioni occidentali, i cui effetti Putin minimizza, stiano devastando l'economia e la quotidianità russe, e spingono per un negoziato. Ma i falchi del potere incalzano Putin per il motivo opposto: non lo vedono abbastanza deciso a vincere la guerra, vorrebbero la mobilitazione generale e un nuovo attacco alla capitale ucraina Kiev.
Si ipotizza anche la sostituzione dello zar, che sarebbe anche secondo Meduza malato ma intenzionato a tener duro: circolano i nomi dell'eterno numero due Dmitry Medvedev, del sindaco di Mosca Sergei Sobjanin, del vicecapo dell'amministrazione presidenziale Sergei Kiriyenko. Ma il più temuto è quello di Nikolai Patrushev, la vera anima nera della politica aggressiva di Putin.
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