Quando i 5 Stelle sfidavano i pm: processateci tutti

Quando i 5 Stelle sfidavano i pm: processateci tutti

Adesso che è suo avversario vuole mandarlo a giudizio, ma da alleato di governo era pronto a costituirsi addirittura come correo: «Dopo di lui processate anche me. Sarò il primo ad andare a testimoniare al processo contro Matteo Salvini per dire che quella fu un'azione di tutto il governo». O Luigi Di Maio era spergiuro allora o, come più palesemente sembra, ha solo cambiato la sua verità così come ha cambiato governo, ministero e coalizione. Con la stessa fermezza che poco meno di un anno fa ha manifestato nel difendere il ministro Salvini dall'accusa di sequestro di persona per il caso Diciotti, è pronto oggi a consegnare il senatore semplice Salvini ai giudici che lo indagano per il caso Gregoretti: «Diremo sì al processo». Attenzione, è vero che le navi sono diverse, ma la fattispecie di reato è sempre la medesima. La differenza è invece una sola: l'amico di ieri è il nemico di oggi. E infatti, nessuno chiese al M5s, a Giuseppe Conte, Di Maio, Alfonso Bonafede, Danilo Toninelli, di superarsi nella difesa. Lo fecero senza esitare e senza dubbio per difendere le loro cariche. In breve: lo fecero per cercare di sopravvivere. Era infatti il 26 gennaio e l'agenzia Ansa batteva l'ultima dichiarazione del ministro della Giustizia. In visita a Firenze, Bonafede inaugurava l'anno giudiziario e ripeteva: «La linea è chiara. Non posso che ribadire che l'azione del governo in quella vicenda è stata un'azione condivisa da tutto il governo». Liberato dal voto della giunta che si espresse a favore dell'immunità per Salvini (si ricordano ancora gli insulti del Pd oggi in amore con il M5s: «Siete dei buffoni»), Bonafede volle spiegare una volta per tutte come andarono i fatti. Il 19 febbraio ospite a Otto e Mezzo rivela: «La decisione sulla Diciotti è stata presa dal ministro Salvini che l'ha condivisa con il premier, con il ministro di Trasporti, Toninelli, e con l'altro vice Di Maio».

Tontolone, ma puntuale, almeno in quella circostanza, e torniamo indietro al 29 gennaio, Toninelli, in studio a Mattino Cinque, volle mostrare agli italiani come si fa processare un grillino: «Se processano Salvini devono processare me e tutto il governo. Se vogliono farlo diventare un processo al governo ci siamo tutti e tutti vogliamo andare di fronte a un giudice». Per un attimo si temette insomma l'arresto di massa. A condividere quella decisione c'era anche Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, la più ostile a Salvini, ma in quella occasione quasi tenera e adorabile. Il primo febbraio, su La7, alle 21,28 conferma che la decisione di tenere a largo la nave Diciotti «era condivisa dal governo. Ci siamo sentiti al telefono o con sms e se fossi stata contraria avrei detto no».

Il resto lo fece il premier. Invidiandone il consenso e il carisma, il primo Conte decise di sottomettersi al segretario della Lega, lo stesso che poco dopo iniziò a calpestare, ma da vinto. Lontano dall'Italia, a Nicosia, ancora 29 gennaio, alle 20,09, prima delle chiusure dei quotidiani, arriva un lancio. È una dichiarazione di Conte che farà epoca: «Mi assumo la piena responsabilità politica di quello che è stato fatto». Il 7 febbraio, Conte lo scrive in un documento che ha valore giuridico e che verrà allegato alla memoria difensiva presentata dai legali di Salvini: «Le azioni poste in essere dal ministro dell'Interno si pongono in attuazione di un indirizzo politico-internazionale. Di questo indirizzo non posso non ritenermi responsabile».

Ebbene, non difendevano solo Salvini, ma pure loro sfidavano la magistratura e l'Europa intera. Il 28 gennaio a Quarta Repubblica su Rete4, Di Maio (ha memoria?) dichiarò in piena allegria da naufragio: «Non ho paura delle indagini su di me. Non è giusto che quando viene una nave in Italia tutti diano addosso all'Italia». A questa class action, per non essere da meno, volle aderire anche Alessandro Di Battista.

A Porta a Porta affermò: «Processare Matteo Salvini non è giusto». Ora lo è. Sono sempre gli stessi, ma non la pensano più lo stesso. Da gialloverdi erano certi di difendere i confini, da giallorossi vogliono confinarne uno solo.

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