Siamo alla guerra delle parole. Diga, argine, muro, confine. Tutte parole brutte, sporche e cattive. Da espellere dal dizionario del politicamente corretto, la lingua di chi pensa di avere sempre ragione. Parole che - però - diventano belle, buone e giuste quando utilizzate contro il nemico populista. Così sui quotidiani di ieri era tutto un fremito di gioia per la vittoria dei muri che hanno frenato l'onda populista. E verrebbe da dire agli immacolati alfieri della melassa interplanetaria: toh, avete visto che quando avete paura di qualcuno alla fine i muri piacciono anche a voi? La differenza è che lor signori tremano di orrore di fronte alle chiome gialle di Wilders, Trump e Le Pen; ma non riescono a mettersi nei panni - talvolta non griffati - di chi è terrorizzato da molestatori, ladri e terroristi. Il muro va bene se ferma i populisti, va male se ferma i clandestini. Perché gli unici clandestini - nell'era del buonismo globale - sono divenuti i populisti stessi.
Ps. Nella guerra delle parole è coinvolto un altro termine: xenofobia. La destra olandese è - per i giornaloni - xenofoba.
Il vocabolario ci viene in aiuto: la xenofobia è «il sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri». Posto che Wilders al massimo è islamofobo, allora il liberale Rutte (salvatore del mondo dalla deriva di cui sopra), che spara ogni giorno contro la Turchia ed è critico verso l'Unione Europea, che cosa è esattamente?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.