Un nuovo balzo in avanti. E il superamento spavaldo della quota del 10 per cento dell'indice di contagio. È il bottino del venerdì che vorremmo definire nero, se non fosse che tutti i giorni sono neri, di questi tempi. Nero come il report dell'Istituto superiore di sanità che piomba all'ora dell'aperitivo: «L'epidemia è in peggioramento, bisogna prendere misure». Amen.
Dunque i numeri: 19.143 nuovi contagi, quasi tre volte il record della prima ondata, che fu di 6.557 e si realizzò il 21 marzo. Aumentano di poco i tamponi: 182.032, nuovo record assoluto. La combinazione tra i due dati produce una percentuale di tamponi positivi del 10,52 per cento, nuovo record della seconda ondata (il precedente, il 9,51 di martedì scorso).
Male anche tutti gli altri indicatori, a parte i decessi, che scendono sotto quota cento e si fermano a 91. Impressionante in particolare l'aumento degli attualmente positivi, che sono 186.002 (una città come Modena). Di essi 174.404 sono a casa in isolamento. I ricoverati sono una minoranza in tempestosa crescita: quelli con sintomi in reparti ordinari sono 10.549 (2.013 soltanto in Lombardia), con un aumento di 855 unità rispetto al giorno precedente; quelli in terapia intensiva sfondano quota mille e sono 1.049, con un aumento di 57. La regione con più posti occupati nei reparti «rossi» è la Lombardia con 184 (+28 letti).
La Lombardia è anche in testa per il numero di contagi di giornata, che si fermano appena prima della soglia dei 5mila, con 4.916 (giovedì erano 4.125). Seguono la Campania con 2.280 (erano 1.541), il Piemonte con 2.032 (erano 1.550), il Veneto con 1.550 (erano 1.325), il Lazio con 1.389 (erano 1.251) e la Toscana con 1.290 (erano 1.145). Insomma i contagi crescono in tutte le regioni più colpite.
Altro dato importante su base regionale quello dell'indice di positività basato sul rapporto tra tamponi positivi e tamponi effettuati. La Lombardia preoccupa con il 13,30 per cento, ma peggio stanno il Piemonte (16,04), la Liguria (15,27), la Campania (14,43) e la Valle d'Aosta (un impressionante 22,05).
Numeri che mettono paura e che alimentano le preoccupazioni dell'Iss. Che come ogni venerdì rilascia il report settimanale, in cui parla di situazione «compatibile complessivamente con uno scenario di tipo 3, con rapidità di progressione maggiore in alcune regioni italiane», in cui si segnalano «criticità dei servizi territoriali». Nel report si evidenzia che nel periodo dall'1 al 14 ottobre 2020 l'Rt calcolato sui casi sintomatici è pari a 1,50 e che è quasi impossibile tracciare in modo completo le catene di trasmissione, con conseguente aumento dei casi evidenziati per sintomi rispetto a quelli identificati tramite contact tracing. Inoltre si nota come «la maggior parte dei focolai continua a verificarsi in ambito domiciliare (81,7 per cento)» ma che questo «è un contesto di amplificazione della circolazione virale e non il reale motore dell'epidemia». «È fondamentale - raccomanda l'Iss - che la popolazione rimanga a casa quando possibile e riduca tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie». Segue un invito alle regioni «a realizzare una rapida analisi del rischio, anche a livello sub-regionale» e «a considerare un tempestivo innalzamento delle misure di mitigazione nelle aree maggiormente affette».
Allarmato è anche l'infettivologo Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, che a SkyTg24 confessa di sperare che un nuovo lockdown non sia necessario ma
rimpiange lo spirito della primavera: «Il lockdown, pur essendo stato terribile, è stato formidabile nel bloccare l'infezione e quest'estate ci siamo dispersi gran parte del patrimonio costoso e faticoso che avevamo accumulato».
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