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Quegli italiani a Donetsk per curare o lottare

Il miliziano, il volontario, l'emigrante: partiti dall'Italia verso il cuore della guerra

Gabriele Carugati, 25 anni, volontario nei miliziani filorussi. Sua madre è segretario della Lega in un paese del Varesotto
Gabriele Carugati, 25 anni, volontario nei miliziani filorussi. Sua madre è segretario della Lega in un paese del Varesotto

Bruno, l'ultimo italiano di Donetsk, Andrea e Chiara, di Medici senza frontiere, che aiutano gli ospedali bombardati, Gabriele e un altro Andrea, che invece imbracciano le armi combattendo al fianco dei filo russi. Storie diverse, se non opposte, dei pochi italiani rimasti sotto le bombe nell'Ucraina orientale, dove infuria una guerra sanguinosa.

«I bombardamenti sono continui e i combattimenti quotidiani particolarmente intensi negli ultimi giorni. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case e la popolazione civile rischia di venir colpita da tiri di mortai e artiglieria», racconta Andrea Ciocca, capo progetto di Medici senza frontiere a Donetsk, la «capitale» dei separatisti nella regione ucraina del Donbass. «Io ancora sobbalzo a ogni esplosione, mi guardo in giro e mi rendo conto che la gente non reagisce più», spiega il volontario italiano in prima linea. Medici senza frontiere sta fornendo aiuto a circa 100 ospedali su entrambi i lati del fronte nelle regioni di Donetsk, Luhansk e Dnepropetrovsk.

Dallo scorso maggio sono stati trattati oltre 15mila feriti, 1600 donne in gravidanza e 4mila pazienti con malattie croniche. I morti stanno arrivando a seimila. «Doniamo anche kit igienici o coperte alle persone che si rifugiano nei bunker sotterranei» dai tempi della guerra fredda, sottolinea Ciocca. Nell'equipe di Msf c'è pure un'infermiera italiana, Chiara Burzio.

Donetsk è diventata una città spettrale. Bruno Giudice è l'ultimo italiano residente. «I bombardamenti sono martellanti - racconta al telefono al Giornale - Stiamo chiusi in casa e speriamo solo in una tregua che fermi le bombe». Da dieci anni nel Donbass, ma parla sempre con l'accento meridionale del suo paese, Santa Marina. La moglie è di Donetsk e con le due figlie e il nipote di pochi mesi hanno deciso di rimanere. Adesso sono intrappolati dalla guerra. Nel numero di Panorama in edicola ha pubblicato una toccante lettera. «Ospedali, asili nido, scuole, mercati, abitazioni e addirittura fermate degli autobus sono stati colpiti. Tanti sono scappati, ma per chi resta è peggio del conflitto nell'ex Jugoslavia» scrive Giudice. E alla fine implora i politici: «Il mio Sos da Donetsk, con il cuore in mano, è un solo grido disperato: Fermate la guerra!».

Nel Donbass devastato ci sono anche quattro italiani osservatori dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. E non mancano un paio di connazionali arruolati nei ranghi dei miliziani separatisti. Andrea Palmeri, toscano di 35 anni, ha postato in rete il 12 gennaio una sua foto a torso nudo, nelle campagne del Donbass con tanto di kalashnikov. La copertina della pagina Facebook è la bandiera rossa con la diagonale blu della Novorossija, il sogno indipendentista dei filorussi che vorrebbero staccarsi dall'Ucraina. Ex leader dei Bulldog, ultras della Lucchese, è rincorso da una condanna in appello per minacce e lesioni. Fascio littorio e croce ortodossa tatuati sul corpo, sostiene di «combattere il mondialismo a stelle e strisce».

Fa parte dei cosiddetti «rosso bruni», che hanno scelto il campo russo, come Gabriele Carugati, varesotto di 25 anni. In un post del 18 novembre su Facebook commentava una foto scattata in prima linea: «I miei compagni del posto di blocco. Rika delle rive del Volga e Jarek del Donbass. Oggi abbiamo avuto il primo assaggio di guerra, artiglieria e razzi che esplodono a mezz'aria». Lo scorso dicembre era all'aeroporto di Donetsk, poi strappato con una furiosa battaglia agli ucraini. Sua madre è segretario della Lega Nord a Cairate, in Lombardia. Gabriele, nome di battaglia «Arcangelo» si definisce «un orgoglioso italiano, fiero delle mie origini padane, di Roma capitale e di essermi unito alla resistenza europea con il popolo del Donbass».

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