Quei 445 aspiranti poliziotti che arrestano il governo

Il Tar dà ragione ai candidati esclusi per un cambio di requisiti in corsa. "Fateci servire il Paese"

Quei 445 aspiranti poliziotti che arrestano il governo

Passano l'esame ma il governo cambia le regole del gioco in corsa e 445 aspiranti poliziotti restano fuori. Ora il Tar dà ragione alle potenziali divise e il Conte II dovrà sanare il pasticcio combinato dal Conte I. Storia di ordinario bizantinismo ministeriale. Tutto comincia nel maggio 2017, governo Gentiloni: bando di concorso per assumere 1148 allievi agenti della Polizia di Stato.

L'iter è il seguente: prova scritta, selezione fisico-psico-attitudinale, corso di formazione, assunzione. Si parte ma, muta il governo e mutano i requisiti necessari; così metà di mille ragazzi vengono beffati nel bel mezzo dell'esame. Per partecipare alla gara era sufficiente avere meno di 30 anni e la licenzia media. Ma nel febbraio 2018, governo Conte I, il decreto semplificazioni, guarda un po', complica tutto. Bisogna avere meno di 26 anni e diploma di scuola superiore. Risultato: 445 aspiranti poliziotti che hanno passato l'esame sono idonei ma «con riserva». Che vuol dire? Nulla.

Impugnano le nuove norme e lamentano: «Si è leso il principio di irretroattività della legge. I requisiti valgano solo per i concorsi futuri». Lapalisse. Il decreto semplificazioni viene ribattezzato «decreto discriminazioni». Gli aspiranti poliziotti scendono in piazza, protestano, ma il governo balbetta, non sa che pesci pigliare. Ecco quindi il ricorso al Tar del Lazio che, causa coronavirus, emette le sue due sentenze soltanto oggi. In una di queste si legge: «Irragionevole, intrinsicamente contradditorio, e in contrasto con i principi costituzionali di imparzialità della pubblica amministrazione () modificare retroattivamente i requisiti di ammissione».

I giudici amministrativi non possono che dar ragione alle aspiranti divise beffate e rimettere la questione dinanzi alla Corte costituzionale. Il segretario generale del sindacato autonomo di Polizia (Adp), Gaspare Maiorana, ora bussa al Viminale: «In una riunione a gennaio col viceministro dell'Interno, Vito Crimi, lo stesso ci assicurò che avrebbe risolto la questione dopo la sentenza del Tar, assumendo i ragazzi. Ora mantenga le promesse. I ragazzi hanno dimostrato di essere idonei e con altissime qualità morali. Ci aspettiano un decreto immediato».

E adesso? Un'aspirante divisa spiega la sua situazione: nel limbo: «Siamo fermi alla graduatoria uscita nell'agosto del 2019. Presi tutti under 26 anni e con punteggi più bassi dei nostri. Il ministero dell'Interno parla di un nuovo concorso ma fino ad ora non c'è un bando all'orizzonte.

Pure il Consiglio di Stato ci dice di andare avanti perché abbiamo ragione».

Un'altra ha il groppo in gola e su facebook si sfoga: «Io, idonea, ho solo il sogno di servire il mio Paese e tutelare i cittadini che rispettano le leggi». Ma in questo caso lo Stato, il suo datore di lavoro, è il primo a non rispettarle.

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