L'obiettivo di «portare gli italiani nelle istituzioni» in effetti si può dire riuscito: i parlamentari Cinque stelle si sono fatti cittadini portavoce dei difetti più diffusi nella popolazione italiana. Piccoli imbrogli, furbate, gabole da quattro soldi se non peggio, trucchetti per non pagare tasse e contributi, piccole miserie tipiche del malcostume nazionale. La vicenda della famiglia Di Maio, tra abusi, lavoro nero e stratagemmi per farla franca con Equitalia, è identica ad altre migliaia, specie al sud, dove appunto il M5s spopola. Dopo aver sbandierato la restituzione di parte del generoso emolumento parlamentare, si è scoperto che una buona fetta di eletti M5s faceva i bonifici di restituzione giusto il tempo per fare una copia del bonifico, pubblicarlo e poi annullarlo per tenersi così il grano. Quando il caso è esploso i grillini - dopo aver accusato la stampa cattiva - sono corsi ai ripari annunciando di cambiare metodo per le restituzioni, ma ad oggi non se ne sa più nulla (secondo la senatrice dissidente M5s Elena Fattori «nessuno di questa legislatura sta restituendo lo stipendio»).
Lo stesso premier Giuseppe Conte, ormai «totalmente integrato nel Movimento e in quello che il Movimento rappresenta culturalmente» assicura Vito Crimi, ha i suoi scheletrini nell'armadio: dal curriculum farlocco e gonfiato ad arte per millantare cattedre mai ricoperte alle cartelle esattoriali per mancato versamento di tasse, imposte e multe per complessivi 50mila euro. A vigilare sulla deriva del M5s di governo c'è però l'incorruttibile Roberto Fico, presidente della Camera che debuttò in autobus salvo poi passare all'auto di servizio per praticità. Anche lui rappresenta la nazione, con la colf in nero scoperta dalle Iene. Anche la difesa è la più classica, siccome la colf lavora nella casa della fidanzata, lui «non poteva sapere», come non poteva sapere Di Maio del nero fatto dal padre nell'azienda di cui è stato dipendente e socio lui stesso al 50%, come sicuramente non poteva sapere Paola Taverna di sua madre, Graziella Bartolucci.
La mamma della vicepresidente del Senato dal'94 vive in una casa popolare del Comune di Roma (con canone di affitto ridicolo, sui 100 euro al mese). Peccato che il Comune abbia dovuto incrociare i dati della famiglia Taverna per accorgersi che mamma Taverna non ha diritto all'alloggio popolare perché malgrado sia molto affezionata alla casa dove abita da 25 anni e dove ha cresciuto le figlie Paola e Annalisa, la famiglia Taverna risulta proprietaria di diversi immobili tra cui «uno situato nel Comune di Roma adeguato alle esigenze del nucleo familiare». Dunque può andare lì e non occupare un appartamento per chi non ha altre possibilità, e infatti il Comune ha avviato la procedura di sfratto mentre mamma Taverna «ha adito le vie legali perché ritiene di averne diritto», come ha spiegato nel suo italiano forbito la senatrice M5s.
Anche l'abusivismo edilizio è sempre stata una piaga da combattere per i grillini, salvo poi infilare un megacondono per Ischia nel decreto su Genova.
E l'ambiente? Battaglia a tutto campo, anche sugli ecomostri che sfregiano le coste del sud, come in Sicilia. Ecco, proprio a Bagheria, dove il sindaco M5s e la deputata Caterina Licatini hanno dichiarato guerra ad un ecomostro, salvo poi comprarlo all'asta per farci un hotel. Ovviamente a Cinque stelle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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