Quei leghisti eletti in coalizione decisivi nell'asse con i 5 Stelle

Il Carroccio ha incassato 27 seggi uninominali grazie ai voti degli alleati. Al Senato sono l'ago della bilancia

La linea diretta Salvini-Di Maio sulle presidenze delle Camere e sull'ipotesi di un asse di governo irrita non poco gli alleati di centrodestra. Il neoeletto azzurro Andrea Cangini, ex direttore del Quotidiano Nazionale, arriva a dipingere il leader della Lega come un incrocio tra Gianfranco Fini (un pesante insulto in quell'aerea politica), Giulio Andreotti (per la politica dei «due forni») e Matteo Renzi (perché «umiliò alleati e compagni di partito»). La Meloni chiede «linearità» a Salvini, mentre dai vertici azzurri si evidenzia che «i parlamentari della Lega sono stati eletti anche con i voti dei partiti alleati», quindi i numeri di un'eventuale maggioranza Lega-M5s arriverebbero anche da elettori non leghisti. Perché? Per la doppia natura del sistema elettorale, che nella quota uninominale ha portato in Parlamento candidati eletti con i voti di coalizione, che non sarebbero entrati solo con i voti del loro partito di appartenenza. Vale per tutte le liste di una coalizione, e quindi anche per la Lega, che però, agli occhi degli alleati, a volte sembra muoversi in autonomia nelle trattative sul futuro esecutivo. Qualche numero. Il Carroccio ha ottenuto 124 seggi alla Camera e 59 al Senato. Ma di questi, 18 deputati e 9 senatori sono entrati con i voti di coalizione. Un dettaglio non da poco, se si pensa che al Senato la somma di parlamentari Cinque Stelle e leghisti è di 171 seggi, e la maggioranza a Palazzo Madama è fissata a 161 voti. Quindi, senza i nove senatori eletti anche grazie a Forza Italia e Fratelli d'Italia, avrebbero una maggioranza appesa ad un filo (162 voti).

La Lega ha sfondato al Nord e raggiunto doppia cifra nelle regioni del Centro. Ma in molti collegi il candidato della Lega non sarebbe mai passato solo con i voti della Lega. E vale anche per dei nomi noti nel partito di Salvini. In Piemonte, ad esempio, il segretario della Lega Piemonte Riccardo Molinari, è stato eletto grazie al 19% arrivato da Fi, Fdi e centristi, altrimenti il più votato nel collegio sarebbe stato il candidato M5s. Anche il leader dei Giovani Padani, Andrea Crippa, entra alla Camera sull'abbrivio della coalizione arrivata nel suo collegio al 42,8%, molto sopra il secondo arrivato, il M5s, fermo al 26,9%. Troppo poco, ma comunque più della Lega (25,5%), che da sola non avrebbe preso il seggio.

Situazione che non si propone in molti altri collegi di Lombardia, Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia, dove invece Salvini raccoglie cifre record che, anche da solo, gli avrebbero fatto guadagnare un eletto. Ma più si scende verso il Centro e il Sud Italia, terre dove la Lega è meno radicata, più l'apporto di voti degli alleati diventa decisivo per fare entrare al Senato e alla Camera i candidati salviniani. Già a Parma, dove la Lega ha schierato l'ex candidata sindaco Laura Cavandoli, il Carroccio è sempre primo partito del centrodestra, ma è superato sia da Pd che da M5s, quindi fuori dai giochi in un'immaginaria corsa in solitaria, senza la coalizione. La cosa diventa più evidente allontanandoci dalla «Padania» (termine ormai archiviato nella Lega di Salvini). A Pisa vince il seggio Edoardo Ziello, giovane salviniano made in Tuscany (è assessore della giunta leghista di Cascina), ma la Lega è dietro Pd e M5s, dunque fondamentali anche qui i voti di coalizione. Ancora più evidente in Lazio, nel collegio di Frosinone, dove il coordinatore regionale del Lazio della Lega Francesco Zicchieri viene eletto col 41%, percentuale composta al 24% dai tre partiti alleati della Lega, che lì è superata da Forza Italia. E così altrove, da Moncalieri a Chioggia, da Grosseto a Foligno. Seggi in più per la Lega, con i voti degli altri.

Anche grazie al fatto che Salvini, al tavolo con gli alleati, è riuscito a farsi assegnare molti dei collegi più appetibili. Uno dei motivi del malcontento tra gli azzurri per la gestione della partita da parte di Ghedini.

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