
Lodovica Bulian
C'è l'Ilva, la più urgente. Ma ci sono anche il Tap in Puglia e l'alta velocità Torino-Lione. Sono le vertenze e le infrastrutture a mettere subito alla prova l'alleanza in incubazione tra M5s e Lega, e a fare emergere le prime frizioni sui temi alla base del matrimonio politico. Iniziando da Taranto. Dopo lo stop dei sindacati alla proposta dell'esecutivo che, con il via libera dell'Antitrust Ue, avrebbe spalancato le porte alla nuova proprietà, Arcelor Mittal, il dossier Ilva passerà al nuovo governo. Che se sarà giallo-verde si troverà a scalare il primo muro tra i due ex nemici ora alleati. Chiudere o salvare l'attività? Un «grosso problema» ma da risolvere rapidamente, visto che, ha avvertito il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, «a luglio Ilva esaurisce la cassa e a fine giugno scadono i termini per completare l'intesa». Per farcela, però, devono incontrarsi due visioni parallele. Da una parte il movimento della decrescita felice, convertito a più istituzionali dichiarazioni in campagna elettorale, quello che ha il suo serbatoio di voti proprio nel Mezzogiorno. Dall'altro il Carroccio, il partito del nord produttivo che chiede più infrastrutture. Mentre il segretario regionale della Lega Andrea Caroppo ieri diceva che «sostenere che l'Ilva va chiusa è inaccettabile», nelle stesse ore il cinque stelle Marco Turco annunciava invece che «andremo oltre i metodi utilizzati in trattativa dal ministro del Mise, il siderurgico di Taranto supererà il ricatto occupazionale, creando un nuovo modello economico, non più basato sulla monocoltura dell'acciaio». Senza dimenticare che giorni fa commentava così il via libera della Ue all'operazione Ilva, la pentastellata Rosa D'Amato: «Noi restiamo della convinzione che vada chiusa e che le risorse per la città siano indirizzate a una grande opera di riconversione industriale».
Le divisioni che corrono sotterranee ai due schieramenti sono pronte a esplodere anche sul gasdotto in Puglia. Dove, pochi mesi fa, un Salvini ancora in campagna elettorale, veniva contestato da alcuni no Tap: un esercito in cui militano idealmente anche gli esponenti locali del movimento cinque stelle pugliese. Che ha bollato più volte l'opera come «inutile e che rischia di devastare le coste salentine». Tanto che a Bruxelles, gli eurodeputati M5s avevano anche accusato il Carroccio di aver «bocciato il nostro emendamento che vietava il finanziamento del gasdotto».
Ma la madre delle battaglie grilline è il «no» all'alta velocità Torino-Lione. Parola di Chiara Appendino, che prima di diventare sindaco del capoluogo piemontese avvertiva: «Se andremo al governo la bloccheremo, è nel nostro programma da sempre». Invece nel 2016, l'ex deputato leghista Stefano Allasia, certificava così il contrasto con i pentastellati: «Siamo favorevoli alla Tav perché la Lega, a differenza del M5s, non è nemica della modernità e dello sviluppo. Anzi, gli investimenti infrastrutturali permettono al nostro sistema produttivo di sopravvivere».
Peccato che lo stop alle grandi opere sia già stato messo nero su bianco dai deputati grillini nel marzo 2017. Tredici quelle da fermare, avevano detto. Con un risparmio per le casse pubbliche «di 8-9 miliardi di euro».
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