A Doina Matei, la donna che con un ombrello uccise Vanessa Russo nella metropolitana di Roma, è stata sospesa la semilibertà perché ha violato le regole di comportamento postando le sue foto in bikini su un falso profilo Facebook.
A Barbara Bresci, pubblico ministero nell'inchiesta su una fuga di gas in cui morì una signora e rimase ferito Gabriel Garko, è stato tolto il fascicolo perché ha postato commenti inopportuni sulla beltà dell'attore che aveva interrogato.
Due persone che nella vita reale sono sul lato opposto della barricata, nel virtuale commettono lo stesso errore, mancata riservatezza. Saranno i magistrati, in entrambe i casi, a stabilire se questi provvedimenti disciplinari siano necessari o eccessivi, ma al di là della legittimità della sanzione, l'assenza di riserbo è incontestabile.
Non riguarda soltanto le due di cui sopra, ma l'intero popolo che rappresentano e abita i social network, cui sembra non interessare più l'intimità. Gli eventi che hanno colpito la Matei e la Bresci ci ricordano le ragioni per cui l'uomo necessita di una sfera privata protetta. All'interno del proprio microcosmo, con i familiari e gli amici di sempre, possiamo esprimere liberamente la nostra opinione senza che questa sia manipolata dagli altri, a garanzia della nostra autonomia personale.
Ci sono momenti nella vita che sono portatori di emozioni profonde: la nascita di un figlio, la morte di un genitore o di un amico d'infanzia, un tradimento o un licenziamento che ci riduce sul lastrico, sono momenti in cui il contatto con l'altro dovrebbe essere gestito nel rispetto della nostra sensibilità. Eppure su Facebook si può leggere di fatti che dovrebbero suscitare emozioni forti e autentiche, sentimenti da elaborare e metabolizzare nel riparo dell'interiorità.
Quando è possibile esternare un tradimento subito, il dolore per la morte di chi abbiamo amato, vuol dire che in parte è diventato più sopportabile, più superficiale. I due genitori che pubblicano una foto del loro bimbo due minuti dopo la sua nascita invece di guardarlo insieme e soltanto attraverso la lente dei loro occhi, stanno vivendo una vera gioia o prevale il bisogno di soddisfare con un'esibizione social il loro narcisismo? Quella donna che scrive del suo dolore per lui che non c'è più, sta provando un'autentica nostalgia o è soltanto alla ricerca di un alleggerimento emotivo?
In questa corsa alla condivisione con individui che conosciamo appena o non conosciamo affatto, stiamo perdendo la capacità di fare un esame corretto della realtà, trasformando il nostro mondo affettivo in uno spazio virtuale dove amare o no, essere amati o
accettati è soltanto una mera illusione, quella che forse ha spinto al suicidio un ragazzino di soli 15 anni a cui un'amica, con un clic, ha tolto un contatto virtuale che Facebook chiama «amicizia».karenrubin67@hotmail.com
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