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I n pochi giorni due ragazze di vent'anni hanno deciso di rinunciare alla vita, una nei Paesi Bassi attraverso l'eutanasia, l'altra gettandosi sotto un treno della rete parigina e mandando in diretta le immagini della sua morte su Periscope. Entrambe non tolleravano la sofferenza legata a un abuso sessuale che le aveva traumatizzate, entrambe potevano essere salvate se qualcuno avesse detto loro che morire non era l'unica strategia per combattere un dolore psichico percepito come intollerabile.

In quasi tutti gli individui che si tolgono la vita, già prima della decisione letale, sono presenti sintomi evidenti di malessere psicologico. La persona che decide di uccidersi ha perso la speranza nei confronti di se stesso, del mondo e del futuro. Una depressione severa che impedisce un pensiero ovvio che potrebbe allontanare l'idea del suicidio: la morte è una soluzione definitiva a problemi momentanei che visti in una prospettiva temporale, potrebbero apparire banali. L'eutanasia e il suicidio sono spesso grida di chi non si sente assistito, ascoltato e non ha ricevuto aiuto quando un evento ha cominciato a minare il suo umore dalle fondamenta. Eppure le cure adeguate ci sono e garantiscono se non la guarigione, una qualità di vita accettabile anche nei casi più difficili.

Fortunatamente l'Italia è una nazione con un livello basso di suicidalità, ma anche dal nostro Paese partono cittadini che cercano la morte nelle cliniche svizzere e nei Paesi Bassi, non solo per porre fine al dolore di una malattia terminale ma anche e tristemente per il mal di vivere. Due ragazze con una sindrome post traumatica da stress non potevano essere aiutate da familiari, amici e psichiatri specializzati?

Il Daily Mail scrive che la ragazza cui è stata praticata l'iniezione letale in passato era stata sottoposta a una terapia e le cure avevano migliorato la sua condizione. La giovane parigina che avvisa amici e parenti e decide di mostrare il suo gesto estremo per risvegliare le coscienze non sta dicendo che si sentiva sola? Giovani disperati che comunicano soltanto attraverso la rete e la rete che diventa simbolicamente l'ambiente di vita e di morte, come non esistesse anche la realtà.

Se da una parte siamo sempre più convinti che la pena per i carnefici debba avere soltanto un valore riabilitativo e non ci scandalizziamo se dopo pochi anni di reclusione assassini e violentatori usufruiscono di sconti e semilibertà, dall'altra invece di sostenere le vittime accordiamo loro la possibilità di togliersi la vita se per quel crimine subito si sono ammalate.

Ammalarsi è diventato il vero atto criminale, quello che va punito con la morte, quando la vittima a riprendersi e a rispondere alle attese della nostra società non riesce più.

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