Qui e ora

Denigrare gli italiani, la nostra cultura, usi e costumi e radici religiose è diventato un tic vocale che s'innesca rapido, quasi involontario, ogni volta che, al contrario, dovremmo difendere i nostri simili e la nostra nazione.

È vietato giudicare nefandezze commesse in altri Stati e da altre popolazioni, ma se eventi molto meno gravi e rari avvengono sul territorio nazionale, siamo pronti a generalizzare e a stracciarci le vesti, a dipingerci come mostri razzisti e omofobi, agli occhi di un mondo che migliore non è.

Il dipartimento per i reati sessuali in Turchia ha reso noto che 3mila uomini sono scampati alla condanna per stupro accettando un matrimonio riparatore. Ragazzine con un'età tra i 12 e i 15 anni saranno date in spose ai loro carnefici. La reazione più congrua sarebbe stata lo sdegno, ma il tic vocale prevede l'utilizzo di un meccanismo di disimpegno morale a favore del criminale straniero con paragoni senza senso. Ed ecco che gli stupratori turchi ricordano i siciliani quando usavano il matrimonio riparatore fino a metà del secolo scorso.

Poco importa se non accade più, se abbiamo avuto una donna coraggiosa come Franca Viola che per prima rifiutò la pratica e con il suo coraggio emancipò le donne, diventando un simbolo di libertà e dignità. Poco importa del nostro progresso e delle battaglie vinte.

Il tic più evidente si attiva ogni volta che si parla di Islam. Di fronte all'assassinio d'innocenti, cristiani, omosessuali, presunte adultere, apostati, si propone un altro confronto vantaggioso per disimpegnare moralmente il carnefice. Anche i cristiani fecero le crociate, bruciarono Giordano Bruno e le streghe, e poco importa se i fatti avvennero secoli fa. I nostri connazionali non sono mai martiri, neanche quando sono uccisi a Dacca perché non conoscono i versetti del Corano, non sono mai eroi, neanche quando come fece Quattrocchi prima di morire, ribadì la sua dignità d'italiano, neanche quando sono in missione di pace come a Nassiriya e si grida che ne muoiano altri 10, 100, 1000. Una nazione è tale perché esiste un popolo che condivide territorio, lingua, tradizioni e religione e gli individui sono consapevoli di questa comunanza, hanno un sentimento per cui ogni membro della sua comunità è stretto all'altro da un vincolo di protezione ed aiuto. La persona possiede un io-sociale che è parte della sua identità.

In nome di questa identità sociale è possibile la fiducia nell'altro, la cooperazione, il rispetto dei luoghi pubblici, dei posti di lavoro e dei colleghi, dei figli dei vicini di casa perché è come fossero i nostri.

Per questo un popolo deve condividere norme e valori che sono accettati perché appartengono a un noi. Noi italiani.

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