Qui e ora

N onostante Steven Pinker, psicologo a Harvard, sostenga che la nostra epoca sia tra le meno crudeli della storia umana, essendo in calo guerre e discriminazioni, nella realtà si percepisce un clima di tensione continua, in cui la relazione e il dialogo con l'altro sono connotati da violenza verbale e rifiuto di ogni posizione non condivisa. Sono ferocemente contrapposti: laici e religiosi, omosessuali ed eterosessuali, conservatori e progressisti, uomini e donne e per finire mancavano carnivori e animalisti.

È come se il «politicamente corretto», nato dall'esigenza di rendere possibile la convivenza tra persone eterogenee, avesse innescato, con l'impossibilità di esprimere il dissenso, il rifiuto dell'alterità e del compromesso, e quindi la vera umanità. «L'uso del politicamente corretto è un'ottima strategia di adattamento sociale, mi chiedo però se produca autenticamente un cambiamento della coscienza personale. C'è una profonda differenza fra il mostrarsi aperti e tolleranti, com'è socialmente apprezzato, e quello che autenticamente si sente» spiega lo psicologo e psicoterapeuta Gianfranco Alessi. «L'ampliamento dei confini dell'identità, attraverso l'integrazione di posizioni culturali diverse, può produrre in alcuni un forte senso di smarrimento, creando una controreazione violenta di rifugio in nuclei personali arcaici e oscuri. Il cambiamento produce paura, e chi prova paura può agire in modo violento». Religiosi e conservatori, schierati a favore della famiglia tradizionale, sostengono che un bambino debba crescere con mamma e papà. Progressisti e omosessuali, per le famiglie arcobaleno, ritenendolo ininfluente propongono l'abolizione di archetipi, come quello della madre e del padre, da sostituirsi con un generico genitore uno e due. Dalle due parti volano insulti e accuse pesanti di fariseismo e nichilismo.

Ai due lati della barricata stanno anche animalisti e carnivori. I vegetariani non si accontenterebbero di un uso più oculato del consumo di carne, per loro non sarebbe sufficiente eliminare gli allevamenti intensivi, perché chi decide di mangiare una bistecca o è a favore della sperimentazione animale è un diavolo cui non si deve nessun rispetto. «A volte assistiamo a deliziosi paradossi, proprio chi si fa portavoce di valori, quali il rispetto interspecie, l'armonia con il pianeta e l'amore per le diversità, utilizza metodi che non sembrano coerenti a tali valori. Sarebbe il caso di cominciare a essere congrui: se parlo d'amore, lo faccio con amore, e amo. Altrimenti ogni nobile causa diventa il paravento accettabile con cui dare sfogo alla rabbia interiore». Carnivori e vegani potrebbero sentirsi uniti dall'amore per il proprio animale domestico, sentimento partecipato da entrambe le parti e invece, anche in questo caso, non mancano accese polemiche. C'è chi ritiene che l'umano del cane non possa dirsi «padrone» dell'animale né suo «proprietario» essendo a tutti gli effetti un membro della famiglia che deve vivere in casa e chi invece lo vuole all'aperto e non troppo coccolato. «Con un cane possiamo sperimentare un'emotività pervasiva e indifesa perché ci da maggiori garanzie, ci sentiamo più sicuri perché viene meno l'imprevedibilità e lo stress relazionale. Con lui siamo noi a condurre il gioco e a stabilire il limite, non abbiamo bisogno di mediare per assicurarci amore e fedeltà».

Amare un cane è una buona palestra sentimentale ma non dobbiamo dimenticare che l'obiettivo finale è la relazione funzionale con un nostro simile, con i suoi desideri e diversa sensibilità, ma di cui non possiamo e dobbiamo fare a meno.

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