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La comunicazione vero atout di Matteo

La comunicazione vero atout di Matteo

Dalle sue prime apparizioni in pubblico nei salotti buoni della tv, Matteo Salvini ha affinato la sua competenza espressiva trasformandosi in un comunicatore molto più abile di tutti gli avversari che lo insultano e cui risponde, sui social, con un sorriso e un bacione, corredato da una faccina con cuoricino.

Alle offese replica con ironia ai suoi oppositori, che definisce «simpaticoni», usando un tono stupito, «roba da pazzi», quando il sindaco de Magistris lo paragona a Hitler e a Mussolini, e suadente cordialità, «gli voglio bene lo stesso», al direttore Caritas di Como Bernasconi che gli dichiara il suo ribrezzo. Nonostante gli insulti riesce a mantenere all'interno della comunicazione l'assunzione di ruoli diversi e così se la Gruber lo incalza, provocandolo e impedendogli di finire il discorso, non si arrabbia più come gli capitava da Santoro, ma si ferma, ascolta e quando arriva il suo turno, calibrando toni e contenuti, riesce a gestire emozioni negative come rabbia e impulsività.

Quando in un'interazione comunicativa l'uno s'impone all'altro facendolo tacere quello che si dimostra accomodante assume un ruolo attivo e vincente instaurando da una posizione inferiore un dibattito costruttivo che vuole con-vincere senza urlare più forte. Nello scambio successivo magicamente da una posizione inferiore il parlante si troverà in quella superiore ottenendo lo spazio e il tempo necessario per concludere il suo pensiero come desidera: «prima gli italiani». Quella di Salvini è una strategia comunicativa efficace perché alternando i momenti in cui subisce e prevale è umilmente forte e debole come la maggioranza di quelli che lo ascoltano alla radio o alla tv. Non sale in cattedra e non ha una platea di alunni-deputati che ascoltano il verbo del maestro alla Leopolda. Lui è il portavoce di chi l'ha votato «nessuno ci filava ma voi li avete mandati a casa e adesso con il vostro sostegno farò quello per cui voi, amici, mi avete chiamato». Tra i due Matteo, Renzi è il narcisista che avrebbe voluto imporre gli italiani riforme sgradite, che lui soltanto reputava giuste e importanti. Salvini non ostenta né preparazione né cultura, si esprime in modo semplice e comprensibile a tutti perché è sintonizzato su ciò che vogliono gli italiani e non solo con la pancia del suo elettorato tradizionale. Evoca spesso la famiglia, la mamma e i figli perché sono sentiti come il futuro del nostro paese.

Il tic della sinistra di demonizzare l'avversario paragonandolo al duce lo deifica mentre lui si narra servilmente come uno di noi, chiamato a ridarci una legittima dignità.

Ha uno stile assertivo e a volte aggressivo su cui sarà bene vigilare ma evitando di gridare istericamente «al lupo, al lupo» come fece il pastorello burlone che finì per non essere più creduto e quindi divorato.

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