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«I l mio schiaffo era educativo perché voglio che mio figlio eviti le schifezze della vita». Il padre che ha mollato un ceffone a suo figlio dentro una stazione dei carabinieri, dove il quindicenne era stato portato perché sorpreso a farsi una canna, dovrà affrontare un procedimento giudiziario per abuso dei mezzi di correzione. Eppure una sentenza di Cassazione aveva stabilito che non sono vietati gli atti di coercizione fisica se hanno lo scopo di proibire comportamenti d'indisciplina gratuita. L'abuso dei mezzi di correzione sussiste soltanto se comporta l'umiliazione del soggetto passivo e determina un'evoluzione traumatica della personalità del minore. «In alcuni casi, non certo di regola, lo schiaffo può rappresentare la risposta più efficace da dare. Un ceffone può essere causa di rabbia e di sentimenti di disistima nel figlio ma non dipende dall'atto in sé bensì dalla capacità del genitore di comprendere se in quel momento c'è bisogno di un gesto deciso di correzione e riprovazione o se invece è inopportuno», spiega lo psichiatra Sabino Nanni. I giovani d'oggi conservano a lungo un'età indefinita, con grande difficoltà nell'affrontare i compiti di sviluppo necessari all'acquisizione di un ruolo nella società. Si moltiplicano i casi di cronaca in cui adolescenti manifestano il loro disagio attraverso comportamenti devianti: uso e abuso di sostanze stupefacenti, bullismo e vandalismo riguardano minori sempre più piccoli. «L'eccessivo permissivismo, che spesso maschera la tendenza dei genitori a deresponsabilizzarsi, lascia il figlio da solo con il duro compito di gestire le proprie emozioni e contenere le tendenze negative. Fumare una canna in un parco è una provocazione che può celare la richiesta del figlio di essere aiutato a fermarsi - chiarisce l'analista -. Uno schiaffo, in questo contesto, può risparmiargli conseguenze ben più dure e spiacevoli nel futuro». Sabino Nanni, già primario psichiatra di Acqui e Ovada in Piemonte, ricorda che da studente vide il suo professore mollare un deciso schiaffone a una paziente isterica che, con un'iperventilazione forzata, rischiava di procurarsi un pericoloso stato di alcalosi «era un medico di grande cultura e capacità, di solito affettuoso con i malati. Il gesto ebbe un effetto terapeutico immediato. A cosa sarebbero servite alla paziente, in quel momento, le parole?».

Per illustrare tale concetto lo psichiatra cita Kohut, noto psicoanalista austriaco caposcuola della Psicologia del sé: «L'autore definiva questi gesti come espressioni di tipo primitivo d'empatia». Sarà corretta la misura tra il permissivismo e l'autoritarismo sintetizzata dal detto «panelle senza mazze fanno le figlie pazze»?

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