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Per salvare Silca e i bambini dall'aggressività del marito, il comune di Mantova aveva agito attraverso i servizi sociali. Dopo che la donna aveva denunciato l'uomo per violenza, lei e i bambini erano stati trasferiti in una casa famiglia, e lui era stato allontanato con un provvedimento dal tetto coniugale. Un supporto a Silca che non ha disinnescato ma aumentato la rabbia di Gianfranco Zani. Uno di quegli individui, apparentemente sani, in cui l'aggressività si manifesta contro le persone più amate. Appena la famiglia è rientrata a casa Gianfranco ha appiccato un fuoco e messo al rogo, uccidendolo, il figlio di 11 anni che riposava nella sua cameretta. Quando si parla di maltrattamento tra le mura domestiche e di femminicidio, la parola amore è stata bandita. S'ipotizza che il carnefice, incapace d'amore perché odia, agisca solo per conservare il potere all'interno della coppia, facilitato da una cultura sessista che ancora vede la donna come un oggetto da possedere e non come un soggetto che ha il diritto all'autodeterminazione. Una visione che limita l'aiuto che si vuol dare alle coppie in crisi in cui il coniuge, depresso, indirizza l'aggressività, trasformata in odio e frammista all'amore, verso i suoi familiari, senza i quali crede di non riuscire più a vivere. Per salvare Silca e i bambini era necessario un intervento di supporto psicologico al marito, cui un grave disturbo dell'umore ha impedito di fare un uso coerente del suo amore e della sua aggressività, impastate ormai in una pulsione forte e distruttiva. Nella depressione, in preda alla tristezza e alla rabbia profonde e continue, il pensiero diventa ruminazione pessimistica con ideazioni di morte. Durante la crisi che lo aveva angosciato, Gianfranco non pensava a come poter riallacciare le relazioni con la sua famiglia o adattarsi alla solitudine e alla nostalgia.

I suoi pensieri, tristi e ripetitivi, l'hanno incastrato in un circolo vizioso in cui alle domande non si trova risposta ma disperazione.

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