Cronache

Ecco perché il caso Torino riguarda tutti

Ecco perché il caso Torino riguarda tutti

«Volevo uccidere un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse». Così Said Mechaouat ha confessato il delitto di Stefano Leo, vittima inconsapevole che non ha avuto il tempo di reagire e capire prima di accasciarsi a terra senza vita. «L'ho scelto perché tra i tanti mi sembrava felice. L'ho accoltellato alla gola perché è il modo più sicuro di uccidere». Gli inquirenti stentano a credere alla sua confessione e ipotizzano uno scambio di persona. Mechaouat l'avrebbe confuso con l'uomo con cui la sua ex compagna si è rifatta una vita dopo averlo lasciato. «Una storia raccapricciante. Simboleggia il caso che fa irruzione nella nostra vita: di colpo e senza preavvisi e ci atterrisce perché non lo si può governare» riflette Marcello Turno, psichiatra e psicoanalista dell'associazione internazionale di psicoanalisi. Leo è stato sgozzato perché si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato, come è capitato alle persone coinvolte negli atti terroristici in Europa. È toccato a lui ma sarebbe potuto accadere a chiunque.

Quando il carnefice è sconosciuto si seguono le vicende con apprensione. Sapere chi è, e perché è accaduto, serve a tenere lontano l'incubo di un serial killer, altrimenti saremmo costretti a vivere costantemente con la paura. Marcello Turno ha appena pubblicato per Alpes Storie nere in stanze d'analisi, un libro di racconti noir in cui vicende cliniche si trasformano in gialli che coinvolgono pazienti e analisti, a volte carnefici e a volte vittime. «Si ammazza per amore, per potere, per denaro o per non guastarsi la reputazione - spiega lo psicoanalista - Uccidere una persona qualunque solo perché appare felice non costituisce un movente plausibile, è lo svilimento totale della vita, un passatempo come tirare un sasso in uno stagno per vedere l'acqua che si increspa. L'eclissi della coscienza critica e il dare azione a un impulso senza valutare le conseguenze ha a che fare con la psicopatologia». Infatti per i giudici che commineranno la pena è importante stabilire se Said è diventato un assassino perché sentiva una voce interiore ordinargli «di uccidere una persona felice». Se gli crederanno sarebbe giudicato incapace di intendere e volere, mentre se lo scopo era l'eliminazione dell'attuale compagno della donna ci sarà l'aggravante della premeditazione. Conoscere il movente che ha armato una mano stimola morbosamente la nostra curiosità. «Il desiderio di dare un volto all'assassino rappresenta quello che Freud chiamava Perturbante, ciò che non ci è familiare sollecita la nostra curiosità perché l'uomo è un risolutore di misteri ed enigmi e ciò che si conosce ci tranquillizza» conclude lo psichiatra.

Curiosità, giustizia e forse pensare che ci si può ancora fidare del vicino di casa.

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