A ogni suicidio si cerca un'unica causa che l'ha provocato quando invece un unico movente non esiste mai. A gennaio ha sconvolto la lettera lasciata da un giovane uomo, di appena trent'anni, che spiegava il suo gesto imputandolo alla società e al precariato. In altri casi è stata attribuita la responsabilità alla crisi economica, a una cartella esattoriale o a un amore mancato. L'adolescente di Lavagna si sarebbe lanciato dalla finestra perché non ha retto lo stress di una perquisizione della Finanza, cui aveva confessato di detenere in casa 10 grammi di cannabis.
In quest'era della semplificazione sembra impossibile accettare che esistano problemi e patologie complesse che hanno una causa multifattoriale. Gli eventi contingenti: la disoccupazione, la cartella di Equitalia o la perdita dell'amore sono fattori precipitanti, che accadono alla fine di una storia di vita, in cui vulnerabilità biologica ed esperienze negative precoci non hanno permesso la formazione di un sé stabile e la fragilità ha pervaso l'io. La persona percepisce allora un dolore psichico insopportabile e perde la capacità di immaginare un'alternativa per una condizione che sente di non poter tollerare più. Nel caso del giovanissimo di Lavagna avrà avuto peso rilevante una fase dello sviluppo, l'adolescenza, che porta con sé problematiche identitarie difficili da superare, e lo sono ancor di più per un ragazzino adottato che deve fare i conti con le sue origini e accettare l'abbandono da parte della madre biologica.
La madre adottiva e gli uomini della Finanza hanno agito in assoluta buonafede ma senza empatia. Il loro intento era liberare il giovane dalla sua tossicodipendenza per restituirgli una vita libera della schiavitù della sostanza. Ma cosa ha percepito questo ragazzino disperato quando la polizia durante la perquisizione ha reso visibile il suo peccato veniale? Due emozioni particolarmente dolorose: la colpa, per la trasgressione compiuta, e la vergogna, per essere il cattivo figlio che nessun genitore vorrebbe. Scoperto, spogliato, esposto al giudizio altrui, si è sentito nudo e ha anelato l'invisibilità. Non ha visto altre possibilità che la morte, interpretata come l'unica via di fuga da una mortificazione che l'ha annichilito. Lo smascheramento ha fatto precipitare una condizione angosciosa strutturata nel profondo e da tempo. Delegando alle istituzioni la sua educazione e quindi la cura la madre l'ha inconsapevolmente rifiutato. I figli adottivi vivono gli errori commessi con senso di colpa più forte. «Se non sono un figlio perfetto, se non sono buono, se non sono riconoscente, potrebbero pentirsi di avermi preso e rispedirmi da dove sono venuto».
Un luogo, quello originario, dove si è consumata la più terribile delle ferite narcisistiche inflitte a un bambino. Un secondo abbandono, lo stigma sociale e lo sconvolgimento adolescenziale, hanno composto un mix di fatale letalità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.