Cronache

Rabbia senza tregua per il "crimine del secolo". Sanzioni contro i politici e tonnellate di farina

In piazza migliaia di manifestanti. E torna il nome di Hariri come premier

Rabbia senza tregua per il "crimine del secolo". Sanzioni contro i politici e tonnellate di farina

All'indomani delle dimissioni del governo di Hassan Diab, la rabbia ancora non si placa a Beirut. Allo slogan «seppelliamo il governo» migliaia di manifestanti si sono radunate ieri pomeriggio davanti alla statua dell'Emigrante, di fronte alle rovine del porto di Beirut, una settimana dopo le devastanti esplosioni che hanno lasciato 170 morti, 6 mila feriti e devastato molti quartieri della capitale. Gli altoparlanti hanno trasmesso la canzone «Ya Beirut» di Magida el-Roumi, e la città è stata invitata a «rinascere da sotto le sue macerie». Molti manifestanti erano vestiti di nero. «Beirut è libera, Iran fuori», gridavano davanti all'edificio del quotidiano An-Nahar, mentre altri hanno dato fuoco a un patibolo a cui era appesa l'immagine del presidente della repubblica Michel Aoun.

Ma già si guarda al dopo. La Corrente patriottica libera di Gebran Bassil e il gruppo parlamentare del presidente del Parlamento Nabih Berry, due dei principali sostenitori del governo di Diab hanno chiesto la rapida formazione di un nuovo gabinetto. Aoun non ha ancora fissato una data per le consultazioni parlamentari per lasciare il tempo che i partiti politici giungano a un accordo. «Ora la priorità è formare rapidamente un governo efficiente e ripristinare la fiducia nello Stato», ha scritto su Twitter Bassil, una delle figure politiche più disprezzate dalla piazza, e genero di Aoun. Il gruppo parlamentare di Berry, che forma l'ala sciita del Parlamento con Hezbollah, si è anche espresso per la rapida formazione di un governo «unificatore», il voto di una nuova legge elettorale senza vincoli settari, e la formazione di un Senato in rappresentanza delle varie comunità, come previsto dall'accordo di Taif che ha messo fine alla guerra civile libanese.

Secondo alcuni analisti, due personalità però hanno più probabilità di diventare il capo del prossimo governo. Si tratta dell'ex primo ministro Saad Hariri, costretto a dimettersi diversi mesi fa dalla rivolta popolare, e dell'ex rappresentante libanese alle Nazioni Unite Nawaf Salam. Ma misure più dure sono già nell'aria. Durante la sua visita in Libano lo scorso giovedì, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che non stava escludendo sanzioni contro i politici libanesi che persistono nell'opporsi alle riforme.

Nel frattempo il Paese si prepara all'emergenza. L'Onu ha precisato che invierà 50 mila tonnellate di farina di frumento a Beirut per «garantire che non vi sia carenza di cibo nel paese». Mentre si stima che la ricostruzione della capitale libanese dovrebbe costare fino a 15 miliardi di dollari in un Paese però già in bancarotta. Beirut ieri si è fermata con un minuto di silenzio alle 18 e 06 locali, ora dell'esplosione, per ricordare le vittime del «crimine del secolo». I nomi di tutti sono stati pronunciati e proiettati su uno schermo assieme alle immagini della deflagrazione. Con le candele accese, i manifestanti si sono poi diretti verso Place des Martyrs.

«Non dimentichiamo i nostri martiri, li resusciteremo», hanno cantato.

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