
"Mi sembra voglia andare avanti per la sua strada e continuare ad uccidere persone. Questo non mi piace. Non sono per nulla soddisfatto". Con queste parole pronunciate davanti ai giornalisti imbarcati sull'aereo presidenziale, Donald Trump ha attaccato Vladimir Putin colpevole ai suoi occhi di aver trasformato la telefonata di giovedì scorso in un dialogo tra sordi concluso da un perentorio "In Ucraina non arretriamo dai nostri obbiettivi". Parole a cui Trump ha risposto ieri ipotizzando nuove durissime sanzioni anti-russe e nuove forniture a Kiev di quei missili antiaerei Patriot che la sua amministrazione ha appena tagliato. "Parliamo molto di sanzioni - ha detto Trump - e lui ora capirà che potrebbero arrivare".
C'è però da chiedersi cosa si aspettasse da Putin un presidente che poche ore prima di mettersi al telefono con il Cremlino aveva dato mandato al segretario della Difesa Segretario alla Difesa Pete Hegseth di tagliare alcune forniture militari strategiche per la difesa e la sopravvivenza dell'Ucraina. Tra queste i missili Patriot, fondamentali per la difesa aerea delle città, capitale compresa, e quei missili a lunga gittata Himars e Atacms indispensabili per colpire la logistica russa. Vladimir Putin ha inevitabilmente interpretato i tagli americani non come un invito a negoziare, ma come un'occasione, offertagli su un piatto d'argento, per chiudere militarmente il conflitto.
Un'interpretazione condivisa peraltro da molti leader europei e da tanti politici e analisti statunitensi convinti che dietro i tagli imposti da Washington si celasse l'intenzione di mettere in ginocchio un Volodymyr Zelensky trattato come un ex-alleato caduto in disgrazia. Ma va anche ricordato che in questi cinque mesi e passa alla Casa Bianca il tycoon ha fatto dell'ambivalenza la propria regola. Sia le sue ultime dichiarazioni, sia quelle precedenti, vanno dunque prese con il beneficio dell'inventario.
Se il via libera ai tagli firmati da Hegseth era un modo per rassicurare gli americani sulla sua politica di contenimento delle spese militari la reprimenda di Putin e le ipotetiche promessa di nuove forniture di Patriot e di nuove sanzioni - vanno prese con la medesima cautela. Non a caso tre senatori democratici - Jeanne Shaheen (New Hampshire), Elizabeth Warren (Massachusetts) e Chris Coons (Delaware) - preannunciano un'inchiesta per capire come mai la nuova Amministrazione non abbia promosso, da gennaio ad oggi, una sola sanzione contro la Russia di Vladimir Putin. Un'apatia che i tre senatori considerano sospetta. Soprattutto se confrontata con gli oltre 6.200 pacchetti di sanzioni approvati dalla presidenza Biden.
Pur avendo minacciato più volte di mettere in ginocchio la Russia con nuove durissime sanzioni Trump, in effetti, non è mai passato dalle parole ai fatti. A maggio - di fronte ad un Cremlino già riluttante a rallentare le operazioni militari e a intraprendere nuovi negoziati The Donald aveva annunciato possibili sanzioni indirette. Ovvero misure coercitive per piegare quei paesi come India e Turchia che garantiscono alla Russia le triangolazioni indispensabili per l'esportazione del petrolio e di altre merci. Alla fine però nulla si era mosso.
Secondo un'inchiesta delNew York Times della scorsa settimana le società ombra costituite per garantire a Mosca l'acquisto di microchip per uso missilistico ed armamenti si sarebbero, invece, moltiplicate esponenzialmente.
Anche perché, ricorda il New York Times, sono 130 le società basate in Cina e ad Hong Kong che vantano pubblicamente canali privilegiati per l'esportazione in Russia di microchip e componenti elettroniche sottoposte a sanzioni.