Rai, meno canali e più spot. Il piano leghista anti-canone

Salvini punta ad abolire l'imposta: "Già in dieci Paesi europei non esiste". Sinistra e sindacati sulle barricate

Rai, meno canali e più spot. Il piano leghista anti-canone

Tecnicamente e teoricamente si potrebbe anche fare. Ma, praticamente e politicamente, almeno per ora pare una chimera. Tra le promesse elettorali annunciate l'altro ieri dal prato di Pontida da Matteo Salvini c'è quella dell'abolizione del canone Rai. Insieme all'(ex) Ici una delle tasse più odiate dagli italiani che, infatti, hanno passato molti anni a evaderla.

Il leader leghista non solo ha proposto di toglierla dalla bolletta dell'energia elettrica, fatto che l'Italia dovrà fare per forza perché la misura introdotta dall'altro Matteo (Renzi) è stata bocciato a livello europeo, ma è andato oltre promettendo di abolire completamente il canone. Idea che, per la verità, la Lega porta avanti da tempo. «Si può fare - ha spiegato Salvini - lo fanno altri dieci Paesi in Europa. In un momento drammatico per le bollette anche quei 90 euro di canone per le famiglie fanno la differenza: per un pensionato e un disoccupato significa fare la spesa tre volte in più».

Una proposta sicuramente di grande presa sugli elettori a pochi giorni dal voto, («Basta pagare gli sprechi Rai coi soldi dei cittadini, è il refrain») ma quante probabilità avrebbe di essere attuata? Secondo il leader leghista la Tv di Stato «può tirare un po' la cinghia e tagliare un po' di sprechi». «E sono proposte che si possono portare nell'arco dei primi Cdm». Posto che il bilancio della Rai è di circa due miliardi e 700 milioni (di cui 700 derivanti dalla pubblicità, un miliardo e 800 dal canone e il restante dalle operazioni commerciali), da dove prendere tutti questi soldi? Ce lo spiega meglio Alessandro Morelli, responsabile editoria delle Lega. «Il nostro progetto - dice innanzitutto - dovrebbe essere preso come una sfida per il futuro della Rai, anche dai dipendenti, perché se va avanti così questa azienda rischia di diventare come l'Alitalia. Tra pochi anni, quando il pubblico anziano non ci sarà più, sarà totalmente fuori dal mercato. È una tv del 1900 invece dovrebbe essere una Rai 4.0. E il canone è una specie di droga che impedisce la modernizzazione». Ecco, dunque, i suggerimenti della Lega per sostituire il canone: «Primo: razionalizzazione, e quindi anche diminuzione, dei canali che ora sono 13 per la tv e una decina per la radio. Secondo: riorganizzazione e eventualmente vendita del patrimonio immobiliare della Rai come per esempio le sedi di Venezia e Milano; terzo: aumento delle operazioni commerciali, come sta facendo RaiCom (la società che vende diritti e licenze dei prodotti Rai) il cui bilancio lo scorso anno è stato il più alto della sua storia e che ora si pensa, sbagliando, di riportare all'interno dell'azienda; quarto: internalizzazione di tutta la produzione evitando di dare in appalto esterno programmi e fiction: esempi assoluti di spreco sono il contratto milionario a Fabio Fazio o l'ultimo a Marco Damilano. Infine, come estrema ratio, aumento dell'affollamento pubblicitario». In caso ci si riuscisse, l'azienda, reggendosi solo sulle proprie finanze, non dovrebbe essere sganciata totalmente dall'influenza politica e dalla nomina governativa? «Il controllo parlamentare resterebbe fondamentale per garantire il pluralismo in un'azienda totalmente spostata sulle posizioni del Pd».

Le parole di Morelli e Salvini, però, non trovano favorevoli i dipendenti della Rai che, attraverso il sindacato interno Usigrai fanno sapere che: «Un servizio pubblico non vive di pubblicità, come fanno invece le tv commerciali. Semmai sono gli spot che andrebbero aboliti a fronte di risorse certe e adeguate. Se poi la Rai viene ritenuta, a stagioni alterne, di destra o di sinistra, siano i partiti a liberarla riformando subito la legge di nomina dei vertici dell'azienda».

Interviene anche l'ex presidente della Rai ed ex parlamentare del Pd Roberto Zaccaria: «Salvini dovrebbe sapere che nel resto d'Europa l'ammontare del canone è molto più consistente che in Italia ed è un obbligo». Così è nei paesi più importanti come Germania, Gran Bretagna, Francia, mentre è stato abolito in altri come Paesi Bassi, Ungheria, Bulgaria, Belgio, Lituania, Lettonia, Polonia.

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