Leggi il settimanale

Rating tornato in serie "A": spread e lavoro in crescita, l'Italia brinda all'anno nuovo

Con la formula Giorgetti, deficit in discesa sul Pil fuori dalla procedura d'infrazione e plauso Ocse

Rating tornato in serie "A": spread e lavoro in crescita, l'Italia brinda all'anno nuovo

Il rating, lo spread, i dati sui consumi e sulla disoccupazione, le promozioni delle banche d'affari e le benedizioni degli organismi internazionali. Ecco come si presenta l'Italia a fine 2025 ed ecco i regali di Natale del governo Meloni sotto l'albero, mentre fuori dall'uscio soffia la tempesta delle guerre con i dazi e i conflitti con missili e droni. Quali sono, dunque, questi doni giunti a Roma non per caso - negli ultimi mesi? Partiamo dallo spread, ovvero la differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, che la premier Giorgia Meloni non ha mai considerato un totem, ma che da sempre è considerato un termometro dell'affidabilità creditizia del nostro Paese. Ebbene, lo scorso 4 dicembre il differenziale tra Btp e Bund decennali è sceso sotto 70 punti segnando il minimo degli ultimi sedici anni. Nel 2022 il differenziale ondeggiava tra 60 e 100 punti, con fiammate ben oltre quota 100 nel pieno della campagna elettorale. La distanza è ancor più siderale se si allarga lo sguardo al 2011, quando il differenziale superò 500 punti e l'Italia rischiò di essere commissariata. Ora, in piena era Meloni, la curva si è appiattita e i mercati sembrano dire: "Dell'Italia ci fidiamo". Certo, bisogna acclerare sulla crescita e sulla produttività. Ma, rispetto al passato, il Paese non dà più la sensazione di poter deragliare da un momento all'altro.

Lo dimostra anche la raffica di promozioni sul rating: Moody's ha alzato il giudizio dell'Italia a Baa2, un evento che non si vedeva da 23 anni; S&P aveva già portato il merito di credito a BBB+; anche Fitch e Dbrs hanno ritoccato al rialzo la loro valutazione. La fiducia riflessa sui Btp ha sostenuto tutta la curva, con gli analisti che vedono le opportunità migliori tra le scadenze 10-30 anni e nei titoli a cinque anni. Peraltro, abbiamo un debito che in dieci anni è cresciuto, rispetto al Pil, solo dell'1% nonostante in mezzo ci siano state le spese straordinarie della pandemia, i sostegni alla crisi energetica e soprattutto il Superbonus del 110%. Lo scorso 17 novembre, proprio alla vigilia della promozione di Moody's, la Commissione Ue ha confermato l'uscita dalla procedura d'infrazione già nel 2026. Sul fronte dei conti pubblici, il deficit è previsto in discesa al 3% del Pil nel 2025 (dopo il 3,4% del 2024 e a fronte di previsioni della primavera che lo davano al 3,3%), al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027, trainato dall'aumento del saldo primario contro una spesa corrente in crescita oltre il 3% per pensioni, stipendi pubblici e sanità. "Le autorità italiane hanno più volte dichiarato la loro intenzione di assicurarsi che il deficit sia leggermente inferiore al 3% del Pil. Dobbiamo vedere i dati finali del 2025, verificati da Eurostat, che saranno disponibili ad aprile. Se sarà sotto il 3%, la decisione sull'uscita dalla procedura sarà presa in occasione del prossimo pacchetto di sorveglianza semestrale", ha detto Valdis Dombrovskis, commissario Ue all'Economia.

Il 2 dicembre un altro plauso arriva dall'Ocse che incoraggia l'Italia sulla traiettoria di risanamento dei conti pubblici. L'organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica ha apprezzato gli sforzi di risanamento portati avanti dal nostro paese e invita l'attuale governo a non mollare la presa. In Italia "il consolidamento di bilancio prosegue e contribuisce a ridurre i costi del debito", sottolinea l'organismo parigino, precisando che il deficit "dovrebbe rientrare al 2,9% del pil nel 2025 e "al 2,6% nel 2027", complice una "contrazione della crescita della spesa pubblica per investimenti e della spesa salariale del settore pubblico". Ai riconoscimenti si aggiunge, quello arrivato giovedì scorso da Goldman Sachs secondo cui l'Italia sta trasformando la "recente resilienza in forza strutturale" perché "negli ultimi cinque anni la crescita italiana ha superato quella di Germania e Francia, pur mantenendo la disciplina fiscale. La spesa pubblica in percentuale del Pil è diminuita in modo strutturale da quando l'Italia è entrata nell'euro e il rapporto debito/Pil sarebbe già sceso nel 2025 se non fosse per l'eredità dei crediti d'imposta per l'edilizia (leggi superbonus 110%, ndr). Nel frattempo, il quadro politico è rimasto stabile: il governo della premier Giorgia Meloni è sulla buona strada per diventare il più longevo nella storia repubblicana, e i sondaggi indicano un consenso stabile per la coalizione di governo in vista delle elezioni del 2027". Non solo. Sempre secondo la banca d'affari Usa, "gli investimenti, anche grazie agli incentivi fiscali e al sostegno del Recovery Fund europeo, sono stati più resilienti rispetto al resto d'Europa. Inoltre, il mercato del lavoro continua a migliorare e il tasso di occupazione ha raggiunto il livello più alto mai registrato".

A poche ore dalla diffusione del report di Goldman si è palesata l'Istat sulle prospettive dell'economia italiana: il Pil è atteso in crescita dello 0,5% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026, dopo essere aumentato dello 0,7% nel 2024. L'incremento del Pil, nel biennio verrebbe sostenuto interamente dalla domanda interna al netto delle scorte e l'occupazione, misurata in termini di unità di lavoro, segnerebbe un incremento superiore a quello del Pil (+1,3% nel 2025 e +0,9% nel 2026) accompagnato da un calo del tasso di disoccupazione (6,2% nel 2025 e 6,1% nel 2026). La stessa Istat pochi giorni prima aveva attestato che l'occupazione ad ottobre ha raggiunto il livello più alto mai registrato, trainata ancora dai dipendenti permanenti e dagli over 50. Le persone al lavoro in ottobre erano 24 milioni 208mila e il tasso di occupazione arriva al 62,7%, nuovi record dall'inizio delle serie storiche Istat partite a gennaio 2004.

Il tasso di disoccupazione è calato al 6%, ed è sceso anche quello giovanile (15-24 anni) al 19,8%. Sullo sfondo, nonostante i dazi, l'Italia a luglio era già arrivata a 437 miliardi di merci vendute all'estero e ora l'obiettivo di raggiungere i 700 miliardi entro fine anno sembr a portata di mano.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica