Politica

Quel reato voluto da Bonafede e che ora incastra il garante del M5s

Con la "spazzacorrott"» l'ex ministro allargò i confini del millantato credito e inasprì le pene. Le inchieste su babbo Renzi e Di Donna

Quel reato voluto da Bonafede e che ora incastra il garante del M5s

Conoscenze personali, relazioni esistenti o solo vantate, rapporti con la politica, contiguità con ambienti della pubblica amministrazione, del potere, dello Stato. Mediazioni illecite da parte personaggi che gravitano negli ambienti pubblici in grado di promettere di vantaggi in cambio di denaro o altre utilità. È un terreno vasto e spesso difficile da definire per gli stessi inquirenti quello in cui maturano le indagini per traffico di influenze illecite che ora colpiscono anche il fondatore del M5s Beppe Grillo. Chi evoca in queste ore la nemesi del comico ricorda che fu proprio il Movimento cinque stelle nel 2019, attraverso il suo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, a intervenire su quel reato con la cosiddetta legge «Spazzacorrotti», ampliandolo e attirandosi le critiche anche di una parte del mondo giudiziario, che parlò di «inafferrabilità» della nuova fattispecie. L'intervento dell'allora ministro grillino ha modificato il traffico di influenze illecite - introdotto nel 2012 dal Guardasigilli del governo Monti, Paola Severino - in una direzione repressiva: ha abrogato il millantato credito e lo ha accorpato al reato di traffico di influenze, e ha alzato la pena massima da tre anni a quattro anni e sei mesi. Ora viene punito chi sfruttando o vantando relazioni «esistenti o asserite» con un pubblico ufficiale si fa dare indebitamente oppure fa dare ad altri denaro o altre utilità come prezzo della mediazione. Rientrano in questa estesa zona grigia i casi in cui per esempio un faccendiere con buone entrature e relazioni con pubblici ufficiali diventi di fatto l'intermediario di un privato disposto a pagarlo. Il pubblico ufficiale sarebbe il «trafficato» a sua insaputa, altrimenti scivolerebbe nell'accusa di corruzione.

La politica - trattandosi di un reato contro la pubblica amministrazione - ne è già finita travolta. Basti pensare che il traffico di influenze illecite ha colpito nomi eccellenti, da Tiziano Renzi nell'inchiesta Consip, all'ex ministro Federica Guidi che in seguito all'indagine si è dimessa, fino all'ex collega di Giuseppe Conte nello studio Alpa, Luca Di Donna, accusato di aver mediato affari tra imprenditori e la struttura all'epoca guidata dal commissario Domenico Arcuri (estraneo all'indagine). Ora l'ipotesi della Procura di Milano è che Grillo, sollecitato dall'altro indagato Vincenzo Onorato, abbia contattato parlamentari M5s per agevolare la compagnia Moby.

Dopo la riforma Bonafede però i pm che conducono le inchieste continuano a scontrarsi forti criticità nel definire concretamente i comportamenti che integrano il reato. E nell'individuare la linea sottile che separa l'attività di un «faccendiere» con quella di un lobbista, ruolo non regolamentato in Italia. Complessità emergono non solo in fase di indagine ma anche dal punto di vista probatorio, con l'ipotesi d'accusa sottoposta a forti rischi anche nel caso di rinvii a giudizio.

L'inchiesta su Grillo incrocia il dibattito politico concentrato sul Quirinale: «Non essendo io grillina diciamo che sulla questione giudiziaria della vicenda aspetto di vedere cosa dirà la magistratura. Tra l'altro parliamo di un reato sempre scivoloso. Sul piano politico, che un leader politico parli bene di qualcuno perché viene pagato lo considero un problema - dice la leader di Fdi Giorgia Meloni - Mi pare l'ennesima nemesi del M5s che si proponeva come grande moralizzatore della politica». Il reato di traffico di influenze illecite «è un abominio. Che cos'è? - attacca Maurizio Lupi -. Quando si determina questo reato? Qual è il vantaggio per un politico, che ricevi voti? Prima o poi, lo dico al M5s, bisogna avere il coraggio di smettere di usare la giustizia per una battaglia politica.

Va abolito come l'abuso d'ufficio».

Commenti