Il reddito di cittadinanza sta dividendo ideologicamente lo schieramento politico. Per il “partito del divano” sarà la manna per gli scansafatiche e i fannulloni, mentre per il “partito antipovertà” restituirà dignità ai tanti cittadini italiani azzannati dalla stagnazione economica.
“Magari fosse così facile”, dice Mauro Antonelli dell’ufficio studi dell’Unione Nazionale Consumatori, nata nel 1955 e che ha progressivamente ampliato il suo raggio d’azione in difesa dei cittadini. In effetti la realtà numerica della misura principe del Movimento 5 Stelle è più complessa.
Antonelli, intanto le cifre. Quanti soldi sono stati messi sul piatto del reddito di cittadinanza (RDC, d’ora in poi) e per quanti italiani?
“La bozza del decreto legge istitutivo del RDC e delle pensioni a quota 100 su cui lavoriamo è quella depositata presso il ministero del Lavoro lo scorso 4 gennaio. Ma le modifiche sono continue, quindi non mi stupirei se le cifre cambiassero ancora. In base a questo documento il governo stanzia 5 miliardi e 979 milioni di euro per 1.375.000 famiglie in povertà”.
Quante persone riceveranno il RDC?
“Non è questo il calcolo da fare. Come ci hanno insegnato a scuola, non possiamo mischiare le mele con le pere. Anche perché un individuo singolo riceverà ovviamente un RDC inferiore a una famiglia senza figli, che ne avrà uno ancora inferiore a una famiglia con figli. E poi c’è il discorso dell’affitto per la casa. Chi lo paga è chiaramente più svantaggiato. Diciamo che il RDC varierà da 500 euro al mese per un single che non deve pagare alcun affitto a 1.330 euro che saranno percepiti da una famiglia numerosa, da 3 figli in su, che paga l’affitto. Direi che la platea si è ridotta”.
Perché la platea dei beneficiari si è ridotta?
“L’Istat ha stabilito che le famiglie italiane in povertà assoluta, cioè che non possono abitare una casa dignitosa, non possono sostenere spese sanitarie, né acquistare vestiti erano 1.614.000 nel 2013, quando aprì il cantiere politico del RDC, ma sono diventate 1.778.000 nel 2017”.
Questo cosa significa?
“La famosa cifra di 780 euro al mese deriva da un vecchio calcolo dell’Istat e viene fuori dai 6/10 del reddito mediano antecedente al 2014. Lo stesso Istat con il bollettino del 6 dicembre 2018 ha aggiornato questo dato stabilendo che il reddito mediano, ad esempio, di un singolo individuo è pari a 16.214 euro all’anno. Il che dovrebbe portare il RDC a 810,70 euro, cioè 30,70 euro in più della cifra simbolo di 780 euro. E poi c’è la cosiddetta trappola della povertà”.
Che cos’è la trappola della povertà?
“Il nostro ipotetico disoccupato riceve 780 euro di RDC. Il Centro per l’impiego gli offre un lavoro, lui lo accetta e perde il sussidio. Poniamo che da lavoratore percepisca uno stipendio di 750 euro. Lo Stato dovrebbe dunque versargli 30 euro al mese per arrivare a 780. Ma in questo modo si annullerebbero gli effetti benefici del RDC e il disoccupato, trovando lavoro, sarebbe diventato paradossalmente più povero di prima. Quindi, secondo noi dell’Unione Nazionale Consumatori, servono altri soldi che integrino eventuali stipendi bassi oltre la soglia di 780 euro. Per l’Istat il nostro disoccupato dovrebbe ricevere dallo Stato almeno 105 euro al mese per arrivare a guadagnare 855 euro al mese. Altrimenti resterebbe sotto la soglia di povertà”.
Prima ha toccato la questione dei Centri per l’impiego. È il grande punto interrogativo del progetto di RDC. Quali sono le criticità?
“Poniamo, ma è davvero difficile, che un miliardo di euro siano sufficienti a informatizzare la rete nazionale dei Cpi e a renderla efficiente per far funzionare tutto il meccanismo del RDC. Ricordiamo che sono i Cpi che dovranno fare le offerte al disoccupato che percepisce il RDC. Ma nella realtà di tutti i giorni un disoccupato in Italia il lavoro se lo cerca da solo: lascia o spedisce il curriculum, legge gli annunci, sparge la voce tra parenti e amici, coglie occasioni al volo. Non è ancora chiaro il meccanismo con cui lo Stato controllerà coloro che troveranno lavoro fuori dalla rete dei Cpi. Inoltre la Banca d’Italia ha stabilito che nel 2017 solo il 2% dei disoccupati ha trovato lavoro grazie ai Cpi, mentre poco più del 25% ha avuto contatti ufficiali con questa rete. La via privata alla ricerca di un lavoro resterà molto probabilmente quella privilegiata”.
L’Unione Nazionale Consumatori contesta la dicitura “reddito di cittadinanza”. Perché?
“Lo status di cittadino non si perde mai, dura per tutta la vita. Perché invece il RDC dopo 18 mesi viene sospeso per le opportune verifiche e solo successivamente ripristinato per altri 18 mesi? In questo modo va a farsi benedire la propensione marginale al consumo”.
Alt, Antonelli! Che roba è?
“Se il nostro disoccupato ha in tasca 780 euro al mese ed è sicuro di percepirli finchè non troverà un lavoro con il meccanismo previsto dal RDC, spenderà quei soldi e li immetterà nel circuito economico. L’Istat calcola una variazione positiva tra lo 0,2% e lo 0,3% del prodotto interno lordo. Ma se al nostro disoccupato lo Stato fa intendere che quei soldi potrebbe perderli entro un anno e mezzo e forse non riaverli più, addio ai consumi e agli effetti positivi sul PIL!”
C’è chi ha paragonato il RDC al Rei (reddito d’inclusione) del precedente governo Gentiloni. Una forzatura polemica?
“La misura così com’è stata presentata appare un reddito minimo garantito. Il Rei del governo Gentiloni poteva essere rinnovato la seconda volta per 12 mesi, mentre il RDC per 18 mesi. Ma il Rei era più attento verso le famiglie numerose, non così il RDC.
È anche vero che il Rei è arrivato a 378mila famiglie povere, mentre il RDC dovrebbe interessare 1 milione 375mila famiglie. Ma l’impianto è sostanzialmente lo stesso. Vuoi vedere che alla fine tutto si risolverà con la mitica social card?”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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