M entre in sala riecheggiano ancora le parole del presidente dei giovani industriali, Marco Gay, il premier Matteo Renzi entra in ritardo ma da protagonista nel tradizionale convegno di Santa Margherita Ligure. Dopo aver incassato i fischi dei commercianti il giorno precedente, ieri il presidente del Consiglio ha assaporato gli applausi di una platea che si aspetta le tanto agognate riforme per far correre di nuovo il Paese. Non sarà facile. Se da un lato i giovani di Confindustria non disdegnano l'endorsement al governo sul referendum istituzionale («è un'occasione che non possiamo perdere», ha detto Gay), dall'altro lato le aspettative sono grandi. La ricetta lanciata dai giovani di Confindustria è chiara è semplice. Dopo aver cancellato l'articolo 18 («impensabile fino a qualche anno fa») ora è tempo di abolirlo anche per i dipendenti pubblici e di dimenticare il sistema pensionistico retributivo. «Via anche la Pubblica amministrazione che secreta gli atti, via i vitalizi ai parlamentari, via una scuola che non si alterna con il lavoro ma con gli scioperi, via un fisco che tassa i dipendenti anche quando non si fanno profitti, via il rigore di Bruxelles», ha proclamato Gay. Parole che hanno entusiasmato il pubblico di imprenditori ma un po' meno il governo, il quale ha sempre delle resistenze sulle riforme che limitano taluni privilegi. «Su tante cose sono d'accordo con Gay ha detto il ministro della Pa, Marianna Madia, intervenuta al Convegno -, ma non sull'articolo 18 per gli statali». Insomma, i dipendenti pubblici restano intoccabili.
Renzi, dal canto suo, sull'abolizione dell'articolo 18 nella Pubblica amministrazione ha glissato, per non impantanarsi, ma ha elogiato la sua riforma che ha aiutato le imprese «non ad avere più libertà di licenziare ma più libertà di assumere e questo ha aiutato l'Italia». Il premier naturalmente ha elogiato l'esortazione del presidente dei giovani di Confindustria di non discutere sulla ripresa «ma di mettersi al lavoro. E d è quello che l'Italia deve fare e che noi dobbiamo fare». Il mondo nei prossimi dieci anni, ha detto il premier, avrà una grande trasformazione in campo economico e produttivo. «Ci saranno molte opportunità in più e molti problemi in più. Se l'Italia prova a cambiare profondamente, grazie alle proprie qualità, potrebbe essere tra i nuovi vincitori». C'è tempo anche per parlare del Mezzogiorno e delle riforme. «Il Sud non sarà salvato dalle riforme anche se queste saranno decisive per l'Italia. La strategia del governo è quella di terminare ciò che è stato lasciato incompiuto per decenni». Renzi ha ribadito di credere fermamente nelle riforme costituzionali e quelle dovranno passare con il referendum sono fondamentali per il Paese. «Sono lo spartiacque per la governabilità», ha ribadito.
Il capo del governo, tra battute e inviti agli imprenditori a porgli domande cattive, ha solleticato la platea. «La politica non sia zavorra del Paese, deve consentire al sistema di funzionare. Chi è imprenditore non deve sentire lo Stato come un ostacolo», ha affermato, aggiungendo che «da noi quelli che sono andati all'estero ce l'hanno fatta nonostante lo Stato italiano. Voglio arrivare a un meccanismo per cui lo Stato italiano è il principale alleato per chi ci prova e chi ci crede». Parole dolci per le orecchie sensibili degli imprenditori.
D'altronde, il leader del Pd è riuscito a cambiare antropologicamente il suo partito in poco tempo, tanto da fare il pieno di voti, al primo turno delle amministrative, non nei quartieri popolari ma nei centri storici. Insomma, oggi la Roma e la Milano «bene» stanno con il nuovo Pd. C'è poco, quindi, da meravigliarsi se il premier corteggia proprio quella classe imprenditoriale che storicamente il suo partito ha sempre avversato.
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