Registi, scrittrici e premi Nobel in esilio. Le speranze di un Iran che non ha paura

Nonostante il pugno di ferro della teocrazia islamista il mondo della cultura lavora per la liberazione dell'Iran

Registi, scrittrici e premi Nobel in esilio. Le speranze di un Iran che non ha paura
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Artisti, scrittori, registi, in Iran come all'estero, sperano oggi più che mai nella caduta del regime degli Ayatollah. Protestano da anni per le continue violazioni dei diritti umani nel Paese. Hanno condannato la repressione brutale, violenta contro i manifestanti durante la rivolta «Donna, Vita, Libertà». Giovani impavidi hanno detto a gran voce basta alla paura. Adesso il quadro è cambiato ancora. Giovedì notte Israele ha colpito l'Iran, una rappresaglia come non si era mai vista dalla guerra con l'Iraq. Le mani della teocrazia grondavano di sangue già da tempo, ma durante le proteste in seguito alla morte di Mahsa Amini avvenuta nel 2022 per mano della polizia morale, si è avuta una recrudescenza intollerabile. Da quell'episodio è partita una potente tempesta di contestazione antigovernativa che voleva buttare giù la dittatura iraniana, feroce, crudele. Una forza formidabile nella lotta per le libertà fondamentali ha attraversato la coscienza di molti artisti di grande caratura. Allo stesso tempo, le loro opere li hanno resi vulnerabili alla persecuzione politica da parte dell'establishment clericale al potere. Il loro lavoro, infatti, non è mera espressione artistica, ma una forma di denuncia politica a difesa della libertà di parola e della giustizia.

Azar Nafisi, scrittrice conosciuta in tutto il mondo, nelle sue opere ha spiegato il valore inestimabile della letteratura e delle iraniane che combattono per i loro diritti. Lei è convinta che nulla ormai potrà fermare la lotta per la democrazia nel suo Paese. Nel 1997 è fuggita dall'Iran, verso gli Stati Uniti, ma mai dimenticherà Teheran e la sua magia. Il testamento letterario di Nafisi è «Leggere Lolita a Teheran», in tutti i suoi scritti, però, non si è mai stancata di ripetere che «è l'immaginazione, soprattutto, che ci rende umani», formidabile arma contro ogni tirannia. Altro personaggio di spicco della cultura iraniana è Shirin Ebadi, la prima donna musulmana a ricevere il Premio Nobel per la Pace. Avvocato per i diritti umani, vive in esilio a Londra. Ha dichiarato di recente: «Il regime cerca di spaventare le persone, per costringerle ad ubbidire. Ma nonostante la forte oppressione la gente non ha paura».

Anche il regista Jafar Panahi è figura simbolo del dissenso in Iran. Ha realizzato l'ultimo film dopo anni di censura e repressione: per oltre un decennio gli è stato vietato di lasciare il suo Paese ed è stato in carcere più volte. «La cosa più importante è la libertà», è stato il suo appello dal palco del festival di Cannes, dove ha vinto la Palma d'Oro quest'anno per «A Simple Accident». Il lungometraggio racconta la storia, molto eloquente, di un meccanico che scopre che un suo cliente è il vecchio aguzzino di quando era in prigione, ma Panahi non dimentica mai l'ironia, invisa al potere autoritario.

Nel 2015 si è anche aggiudicato l'Orso d'oro a Berlino per «Taxi Teheran».

Il premio allora fu ritirato dalla piccola nipote Hana, perché a lui era vietato uscire dal proprio Paese. È proprio così, l'arte è davvero l'ultimo santuario del libero pensiero e mette le ali a chi da una cella ha ancora dei sogni.

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