Può capitare di trovare in una biblioteca comunale, nello scaffale dei libri e dei dvd, un vecchio (ma neanche tanto) film dal titolo «L'ultimo pastore».
In copertina spicca un gregge di centinaia di pecore che «pascolano» nel luogo dove meno te lo aspetti: piazza del Duomo a Milano.
Un fotomontaggio? No, tutto vero. La curiosità di vedere il film diventa irresistibile. Una pellicola, quella diretta nel 2012 dal regista Marco Bonfanti, che andrebbero proiettata in tutte le scuole frequentate dai quei bimbi che un gregge di pecore, dal vivo, non l'hanno mai visto; né sanno chi sia e quale attività svolga un «vero pastore».
Renato Zucchelli (non un attore, ma l'ultimo autentico pastore della Bergamasca) è il protagonista di questa fiaba per immagini che mixa poeticamente tanta verità e un pizzico di fiction.
La verità è quella della vita di Renato che con la sua bella famiglia (moglie e quattro figli) ama la solitudine della montagna, condivisa solo con il suo cane e socio d'alpeggio. E poi ci sono loro: le pecore. Tante. Quanto Milano non ne ha mai viste.
Ma cosa c'entra il gregge di Renato con una metropoli come Milano? C'entra eccome, perché il «gigante buono» Zucchelli ha una missione precisa: «Devo andare, perché i bambini vogliono vedere le pecore e il pastore. Devo andare, non mi fermerà nessuno!». È questa la frase-manifesto de «L'ultimo pastore» che, nel tempo, è diventato qualcosa di più di un semplice film. Evolvendosi in una sorta di romantica comunità dell'immaginazione dove si riscoprono i valori della natura, della semplicità, dell'onesta. E così Milano diventa la Gotham City da inondare di bene grazie alla transumanza di un eroe vestito da pecoraio e accompagnato dal suo popolo belante ricoperto di lana. La sfida del regista Bonfanti è stata vinta: «Testimoniare l'esistenza dell'ultimo pastore nomade rimasto a Milano, una delle città più cementificate del mondo».
Renatone ha occhi chiari e un sorriso sulle labbra che la fatica non riesce mai a spegnere: «Ogni anno, a Natale, porto le pecore nei presepi di Milano - racconta al Giornale -. I bambini restano incantati da questi animali. Bestie in carne ed ossa, mica statue inanimate. E anche le pecore sono felici di vedere i bimbi. Tra loro è come se si creasse un'intesa magica. Uno spettacolo meraviglioso».
Zucchelli, oltre a essere rimasto uno dei pochi pastori in grado di tramandare il romanticismo (ma pure l'estrema durezza) del suo lavoro, è anche uno degli ultimi depositari della lingua in estinzione Gaì: l'«esperanto» con cui i pastori comunicano tra loro ( magari per scambiarsi informazioni sui campi su cui far pascolare le greggi all'insaputa dei contadini proprietari dei terreni).
Dell'incredibile avventura di Zucchelli sceso dalle valli bergamasche fin sul sagrato ai piedi della Madonnina ha parlato tutto il mondo, con il film che ha riscosso, meritatamente, premi e critiche entusiastiche.
Anche quest'anno Natale è alle porte: sarebbe bello rivedere trecento pecore in piazza Duomo.
Chi l'ha detto che i miracoli non possano ripetersi?
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