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Renzi archivia il campo largo Pd-M5s

L'ex premier: "Anche loro sanno che i grillini sono inaffidabili"

Renzi archivia il campo largo Pd-M5s

Milano. Il campo largo non esiste più. È moribondo, o almeno non sta tanto bene. La diagnosi la firma Matteo Renzi, che dall'alleanza allargata di centrosinistra si tiene a distanza, pronosticandole una vita breve e stentata. «Se il campo largo è quello con Conte e i 5 Stelle di oggi, ho l'impressione che non ci stia nemmeno il Pd», spiega il leader di «Italia Viva», ospite della scuola di formazione politica della Lega, nel corso dell'intervista (con il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano) che conclude una giornata milanese di incontri, battute e autentica battaglia politica, a partire dai temi della giustizia. «Che questi referendum possano passare non lo so - riflette - ma sicuramente io voto a favore. Ma che passino o meno, questo tema della giustizia non finisce qui».

Occasione dell'appuntamento mattutina al «Franco Parenti» è soprattutto il suo libro - il «Mostro» - che mette in fila le vicende che lo hanno visto «non vittima» precisa, ma alle prese in prima persona con le degenerazioni - anche correntizie - della giustizia italiana. Ma di fronte alla platea del teatro, gremito, è soprattutto di politica che si parla. Ed è alla politica a tutto tondo che torna l'ex premier, muovendosi sul palco da solo, con una grande «R» che campeggia; una «R» rovesciata che compare sempre più spesso e che - da Radio Leopolda che era - sta diventando il suo nuovo marchio politico: «R» come «riflettere», ed «R» come Renzi, ovviamente.

Ammette qualche errore, ma davanti alla sua base rivendica la scelta di essere alternativo ai 5 Stelle. «Credo che non arriveranno alle Politiche 2023 - profetizza - Sono la negazione di tutto ciò che affermavano, una litote ambulante». Soprattutto rivendica la scelta di essere altro dal Pd. «Abbiamo salvato l'Italia e anche il Pd, andando via».

Si attribuisce il merito di aver chiuso l'esperienza del secondo governo Conte, aprendo la strada all'esecutivo di Mario Draghi. E l'applauso più fragoroso dei renziani al «Parenti» va proprio a questo. Non tanto alle frecciate su Luigi Di Maio («ha cambiato posizione su tutto» sottolinea sciorinando l'elenco impietoso dei dietrofront grillini) quanto alle stilettate sull'ex «avvocato del popolo», che proprio alla scuola della Lega andò a definirsi «populista». «Chi è Giuseppe Conte oggi? - chiede - arriva a fare il premier per caso, fa il leader, prova a cambiare il capogruppo alla Camera e glielo lasciano, vuole tenere l'altro e lo cambiano. Non è capace. Da quando ha perso Palazzo Chigi non ce la fa più».

Si dichiara anti-populista Renzi, e di fronte a una platea apparentemente ostile, ma tutto sommato amichevole, quella leghista, si leva la soddisfazione di definirsi ancora una volta «di sinistra», eppure per il futuro non pone limiti - se non ideali - alla sua libertà di movimento.

Ricorda che a Genova «Iv» sostiene il sindaco Marco Bucci, candidato del centrodestra, e per il 2023 (voto politico, più quello previsto in Lombardia e Lazio) dice: «Vediamo, è difficile immaginare che se andremo da soli alle Politiche non lo faremo anche alle Regionali».

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