Renzi costretto a trattare. Se va al voto rischia l'autogol

L'avvertimento dello studioso Natale, vicino al premier: "In caso di elezioni anticipate il segretario non avrebbe più la maggioranza"

Renzi costretto a trattare. Se va al voto rischia l'autogol

Attento Matteo, le elezioni anticipate possono essere un boomerang. L'avvertimento non arriva dagli esponenti della minoranza Pd, assetati di sangue renziano (e spaventati all'idea di perdere il posto in Parlamento), ma da un politologo esperto di sondaggi e tutt'altro che anti-renziano.

Il professor Paolo Natale, che insegna metodologia di ricerca a Milano e è stato a lungo collaboratore di Europa , quotidiano del Pd assai vicino al premier, spiega che - se Renzi facesse come Tsipras e decidesse di andare al voto anticipato anche per regolare i conti in casa propria e liberarsi della fronda che gli rema contro - «andremmo incontro ad un Parlamento ancor più frammentato, senza alcuna possibile maggioranza se non quella di una grande coalizione». In un articolo pubblicato online su Gli Stati Generali , Natale descrive i rischi di una possibile chiamata anticipata alle urne, e insinua il dubbio che il gioco non valga la candela: si andrebbe al voto con due sistemi diversi, Italicum alla Camera e il proporzionalissimo Consultellum al Senato. «Il risultato alla Camera, in una simulazione basata sui più recenti sondaggi, è determinato dalla scelta degli elettori al secondo turno: al ballottaggio vanno Pd e Movimento 5 stelle, ed il vincitore, con il relativo premio di maggioranza, sarà una di queste due forze politiche», scrive.

Certo, il Pd sarebbe comunque in vantaggio e in una campagna elettorale polarizzata tra Renzi e Grillo il premier potrebbe giocare la carta del «voto utile», ma - anche con una maggioranza solida e omogenea a Montecitorio, depurata dai nemici interni al Pd - a Palazzo Madama il quadro sarebbe ben diverso: «Nessuno riesce non dico ad avere, ma nemmeno ad avvicinare la maggioranza assoluta dei seggi. Il Pd arriva a 100, il M5S intorno agli 85, la coalizione di centrodestra vede Forza Italia a 40-45, la Lega a 35-40 e i Fratelli d'Italia a 15. Infine la sinistra (supponiamo unita in un'unica lista) si prende una ventina di seggi ed il centro 10-15. Una situazione assolutamente ingestibile, molto simile – se non peggiore – a quella attuale». Insomma, «una maggioranza di governo sarebbe cosa ardua, lontana perfino dalla “strana” coalizione attuale, che pur trova difficoltà».

Naturalmente lo scenario, rischi inclusi, è ben chiaro a chi, come il renziano Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, incita il premier a seguire l'esempio di Tsipras prendendo atto che «l'obiettivo della minoranza Pd è sfasciare tutto e ammazzare politicamente Renzi». Il timore di gran parte dei renziani doc è che il premier cerchi di inseguire una mediazione con la sinistra interna sulla riforma del Senato, finendo nella loro trappola: «La minoranza punta solo a distruggere l'unico governo di centrosinistra che mette in luce il fallimento delle esperienze precedenti. L'obiettivo è logorare Renzi fino a esibire le sue spoglie», avverte Giachetti. Meglio quindi andare dritti per la strada della riforma, e se un pezzo di Pd farà mancare i numeri «non resteremo un minuto di più», come dice Alessia Rotta, responsabile comunicazione Pd. Il bersaniano Gotor parla di «attacchi scomposti» e avverte: «Noi siamo del Pd e resteremo sempre nel Pd. Renzi dovrebbe ringraziarci».

Il sottosegretario Ivan Scalfarotto nutre gli stessi dubbi di Giachetti sulla buonafede della minoranza interna: «È vero che qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato, ma si indovina.

Spero però che non sia il nostro caso». Ma si dice certo che la fronda Pd «comprenderà che non vi è alternativa a questo governo e alla realizzazione delle riforme e lavorerà per evitare di dare credito ai pensieri di Giachetti».

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