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Renzi difende il Jobs Act: "Non temo le minacce, men che mai dalla Cgil"

Il premier assicura: "È solo l'inizio della rivoluzione". Ma sull'Italia grava l'ombra della manovra correttiva

Renzi difende il Jobs Act: "Non temo le minacce, men che mai dalla Cgil"

Dallo scontro sul Jobs Act all'elezione del nuovo capo dello Stato, passando per la legge elettorale, i rapporti con l'Unione europea e l'ombra di una manovra correttiva per sistemare i disastrati conti pubblici. Alla vigilia del discorso di fine anno, il premier Matteo Renzi anticipa i temi caldi della politica italiana che verrà in una intervista fiume a Qn. Temi caldi che il 2015 si porterà dietro dal 2014. I continui scontri coi sindacati, i dissapori nel Pd e le risse in maggioranza non hanno permesso al presidente del Consiglio di procedere spedito come, invece, avrebbe voluto. "Stiamo facendo le cose che abbiamo promesso - dice - non pretendo che chi per professione si lamenta, improvvisamente cambi mestiere: mi basta che non alteri la realtà". Poi assicura: "È in atto una rivoluzione copernicana e siamo solo agli inizi. Niente sarà più come prima in Italia. Ce ne daranno atto anche i più critici".

Lo scontro sul Jobs Act

Renzi mette in mano al parlamento la decisione ultima sulla licenziabilità o meno degli statali. "Esiste giurisprudenza nell'uno e nell'altro senso - spiega nell'intervista a Qn - na non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo". Per il resto, però, difende la portata del "suo" Jobs act e delle leggi in materia di lavoro appena approvate dal Consiglio dei ministri e che definisce "innovative e capaci di dare più libertà agli imprenditori, ma anche assicurare più tutele a tutti i lavoratori". Il premier ci tiene a far notare che il Jobs Act diminuisce anche la pressione fiscale a partire dall'Irap, "è la soluzione alle tante crisi aziendali" ed "è la lotta alla burocrazia e per una giustizia civile più efficiente". Oltre ai malumori di Ncd, dovrà guardare alle minacce della Cgil che, nelle ultime ore, si è detta "pronta a tutto" per bloccare la riforma "Ho il massimo rispetto per il sindacato, e lo dico senza polemiche né ipocrisie o ironie - assicura Renzi - ma non sono il tipo che si lascia impressionare dalle minacce. Meno che mai della Cgil. Che ha manifestato, scioperato, e avversato in ogni modo le nostre riforme. Se ha altri modi per dire no, lo spiegherà di fronte al Paese, ci trova al solito posto, a Palazzo Chigi a provare a cambiare l’Italia". Il premier spiega poi che per testare i primi risultati saranno brevi: "I primi effetti si vedranno già dal 2015, ne sono convinto, a condizione però di non mollare e continuare sulla strada delle riforme".

L'ombra della manovra correttiva

Renzi continua a negare. Ma sull'Italia pende la spada di Damocle della manovra correttiva. Secondo indiscrezioni vicine al ministero dell'Economia, potrebbe essere imposta dall'Unione europea già in primavera. "Noi siamo il governo che quando è intervenuto lo ha fatto abbassando le tasse o bloccando gli aumenti decisi da altri - ci tiene a sottolineare il capo del governo - certo l’Europa è a un bivio: o punta sulla crescita e sugli investimenti o rinuncia alle proprie ambizioni nello scacchiere globale". Per Renzi, infatti, un cambio di rotta del paradigma economico serve in primis all’Italia, "ma paradossalmente serve di più all’Europa". E spiega: "Nel 2015 devono arrivare i fatti, altrimenti l’Europa intera sarà tagliata fuori dal mondo che conta". Davanti a un’economia americana che ha ripreso a tirare ed una europea che ristagna (con la Germania che non deflette dall’applicazione rigida dei trattati), la formula da applicre a Bruxelles deve essere "più flessibilità e più crescita". "Non è la nostra battaglia - incalza - deve essere la battaglia di tutta l’Europa". Conti in ordine, insomma, ma scelte strategiche, investimenti, crescita. L'esempio che pone è proprio il presidente americano Barack Obama. "È la stessa ragione per cui al dibattito teorico sul lavoro preferisco parlare con il linguaggio delle crisi industriali che stiamo risolvendo - continua - da Termini Imerese a Meridiana, da Gela a Electrolux, da Terni a Moby, su cui ci stiamo concentrando in queste ore".

La partita a scacchi per il Quirinale

Renzi non intende prestarsi al gioco dell’Indovina chi sul futuro del Quirinale. "Dove c’è un uomo, Giorgio Napolitano, al quale tutti quanti gli italiani devono riconoscenza e rispetto per come ha interpretato in tutti questi anni la sua responsabilità alla guida dello Stato". Nell'intervista a Qn, prende di petto la questione legata alla scelta del futuro inquilino del Colle senza voler nemmeno dire se - a suo avviso - sia preferibile un politico o un "tecnico". È il gioco delle parti. Non si espone (è ancora troppo presto). "Penso solo - spiega - che per il Quirinale sia sempre importante che si arrivi a un nome in grado di unire, di trovare la più ampia condivisione possibile tra le forze politiche e nel Paese". In realtà la rosa di nomi, Renzi ce l'ha eccome. Stando alle voci vicine a Palazzo Chgi, punterebbe a volti di secondo piano che non oscurino il suo ruolo. Quanto alla possibilità che su Romano Prodi anche Silvio Berlusconi possa far cadere il suo veto, Renzi dice di non volersi occupare dei veti dei singoli partiti: "Se e quando sarà il momento saranno i Grandi elettori a verificare la capacità di trovare consenso di questo o quel nome.

Gettare nomi importanti come quello di Romano Prodi nel tritacarne dei retroscena serve solo ad alimentare una chiacchiera che non accenna a diminuire nei mesi che ci attendono".

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