Renzi mostra i muscoli e si appresta a sfidare la minoranza dem in direzione lunedì. «Non mollerà - giura un deputato a lui vicino - Se concederà qualcosa lo farà soltanto nel corso del dibattito in Senato sul Jobs Act ma non sull'articolo 18». Questa la previsione di un renziano di Montecitorio che collima con le dichiarazioni tranchant del premier da New York. Intervistato da Bloomberg tv e Wall Street Journal , infatti, Renzi chiude la porta in faccia ai dissidenti, bastona i sindacati e alza la posta dello scontro: «Io rispetto tutte le idee, rispetto le idee del sindacato, compromesso non è una parola cattiva ma in questo caso il compromesso non è la strada. Questo non è il momento del compromesso ma è il tempo del coraggio». Non solo. La bastonata ai frondisti arriva poco dopo: «È normale in Italia, poche persone credono sia importante bloccare il leader... È la storia del mio Paese negli ultimi anni: abbiamo cambiato tanti governi ma finora non abbiamo cambiato l'Italia».
Insomma, basta con le infinite trattative e gli accordi al ribasso. Questa volta vuole andare fino in fondo, arrivando a mettere sul tavolo pure il suo destino personale, convinto che i dissidenti non arriveranno mai a buttarlo giù. Ecco la sfida: «Se non sarò capace di cambiare l'Italia allora non potrò continuare la mia carriera politica». E ancora: «Ho deciso di investire nell'unica strategia possibile: una radicale rivoluzione per il mio Paese. Ho avuto il 41% alle ultime elezioni, e - giura - userò tutto il mio consenso per cambiare il mio Paese».
La minoranza piddina è avvisata. Ma soprattutto divisa: ci sono cinquanta sfumature di antirenzismo e pochi sarebbero quelli disposti a tenere il punto fino alle estreme conseguenze. Ecco perché il fronte della dissidenza è alla disperata ricerca di un appiglio per non apparire sconfitta su tutta la linea. Basterebbe una concessione su qualcosa per poter dire «Grazie a noi il premier ha corretto il tiro». È Bersani che va col cappello in mano dinanzi a Renzi: «Se un segretario del partito vuole trovare una sintesi, come penso dovrebbe, non solo secondo me è possibile ma anche abbastanza agevole: basta volerlo». Ma rumors di palazzo giurano che, se anche Renzi mollerà qualcosa non lo farà sull'articolo 18 ma sul capitolo semplificazione dei contratti.
E i frondisti faranno buon viso a cattivo gioco anche perché le urne sembrano l'opzione meno probabile. Lo dice anche Renzi dagli States: «Non è il momento delle elezioni in Italia. Dobbiamo assolutamente rispettare i tempi indicati dalla Costituzione e le prossime elezioni ci saranno nel 2018: sono assolutamente impegnato a raggiungere questo traguardo». E ancora: «In Italia c'è un approccio tradizionale per cui si dice abbiamo un problema, andiamo alle elezioni. No, io dico abbiamo un problema, risolviamo il problema».
Anche a costo di chiedere una mano al Cavaliere? I renziani giurano che non occorrerà e il premier, di Berlusconi, parla così: «È il leader di un partito di minoranza, è un mio oppositore. Ma quando scrivi la legge elettorale e le modifiche alla Costituzione, tutti devono essere al tavolo della discussione».
Neppure i sindacati, che cercano la sponda con la minoranza dem, spaventano il premier: «Il mio impegno è chiaro: realizzare le riforme indipendentemente dalle reazioni. La riforma del mercato del lavoro è una priorità in Italia e se i sindacati sono contrari, per me non è un problema. Io vado avanti. Forse perderò le prossime elezioni, ma per me è importante non perdere questa opportunità».
Linea dura confermata anche
dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti che avverte tutti: «Non possiamo fare pasticci all'italiana. Non ci si può fermare davanti a dei tabù. Noi abbiamo bisogno di dare fiducia e chiarezza perché ci siano investimenti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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