Renzi fa il duro con l'Ue: non c'è un problema Italia

Palazzo Chigi nega la trattativa sui vincoli del Patto di stabilità che l'Europa invece non aveva smentito: «Rimarremo sotto il 3% senza aumentare le tasse»

«Non è in corso alcuna trattativa né pubblica né “segreta” con l'Europa e neppure alcun piano taglia-debito». La smentita di Palazzo Chigi alla ridda di voci, indiscrezioni e retroscena del weekend ferragostano è secca.

Da Forte dei Marmi, dove per qualche giorno è in vacanza con la famiglia, Matteo Renzi ha voluto dare uno stop alle ricostruzioni che tendevano ad alimentare proprio l'impressione che il premier vuole ad ogni costo disperdere, ossia che esista un «caso Italia» nell'Unione Europea, e che sia in corso un lavorio sottotraccia del governo per ottenere un occhio di riguardo per il nostro Paese. Ipotesi che ieri avevano ritrovato vigore dopo la non-smentita del portavoce della Commissione Ue, che aveva rimandato all'autunno per «l'analisi delle finanze pubbliche», rifiutando di commentare ora le «congetture» su eventuali concessioni di maggior flessibilità ad alcuni paesi. Perché la strategia dell'esecutivo è esattamente opposta, come indica chiaramente il comunicato di Palazzo Chigi: «Non esiste un “problema Italia” in Europa: esiste un problema dell'eurozona che l'Italia contribuirà ad affrontare».

Per quanto riguarda il nostro Paese, torna a ribadire il premier, «faremo la nostra parte rispettando il vincolo del 3% senza aumentare la pressione fiscale». Lo stesso presidente del consiglio, nei giorni scorsi, aveva più volte spiegato che si devono escludere manovre correttive e aumenti di tasse, e che l'obiettivo del rispetto del 3% verrà perseguito soprattutto mediante quella spending review sulla quale è al lavoro il viceministro Enrico Morando.

Nessuna richiesta di indulgenza particolare dunque: il problema non è l'Italia, ma l'intera area euro, e il rapporto agostano della Bundesbank sullo stato dell'economia tedesca, diffuso ieri, rafforza questa linea. Perché la BuBa, fanno notare da ambienti di governo, mette per la prima volta nero su bianco che anche il motore germanico sta dando segni di inceppamento, soprattutto a causa delle tensioni geopolitiche nell'Europa orientale per la crisi ucraina, con pesanti ripercussioni sia sulle esportazioni che sulla domanda interna. Nel colloquio pre-Ferragosto a Città della Pieve, però, il capo della Bce Mario Draghi avrebbe invitato Renzi, secondo alcune versioni, a non illudersi che la gelata e economica che investe anche la Germania induca Berlino a diventare più generosa verso i Paesi meno virtuosi, anzi il rischio è quello di un irrigidimento ulteriore. Per questo il governo Renzi è chiamato a dimostrare subito che dietro ai «titoli» delle molte riforme promesse (e alcune, come quella del Senato, effettivamente avviate) ci sono passi concreti nella giusta direzione. D'altronde le voci che arrivano dalla Germania vanno esattamente in questa direzione: «Non è ammissibile annacquare adesso il Patto di stabilità, è a rischio la fiducia nell'euro. Se Renzi vuole seguire la strada francese sceglie la via sbagliata», avverte un fedelissimo della Merkel come l'esponente Cdu Norbert Barthle. Mentre lo Spiegel , riconoscendo a Renzi di aver «scosso la stasi della Roma politica», avverte che se il suo programma di riforme dovesse rallentare o fallire «l'Italia non si riprenderà tanto in fretta».

Il premier è ben consapevole che è questo il contesto in cui si muove, ed è intenzionato ad accelerare, a cominciare dal Consiglio dei ministri della prossima settimana, su fisco, Jobs Act (a cominciare dalla promessa di una riscrittura complessiva dello Statuto dei lavoratori),

giustizia civile, scuola. Ben conscio di dover affrontare, su questi snodi fondamentali, una maggioranza parlamentare spesso riottosa e divisa, come dimostrano le risse di questi giorni sull'articolo 18 o sulle pensioni.

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