Politica

Renzi liquida Fassina «Lascia? Problemi suoi» E la fronda Pd insorge

Il leader riapre lo scontro con la «sinistra masochista che perde e poi scappa col pallone come Cofferati». Speranza: Matteo sbaglia

«Fassina vuole andarsene dal Pd? Se non rimane, è un problema suo e non nostro». Matteo Renzi rinverdisce i fasti del celeberrimo «Fassina chi», battuta che fece saltare i nervi all'allora viceministro fino a farlo dimettere dal governo Letta, e liquida con un'alzata di spalle il rovello amletico della minoranza Pd.

Stefano Fassina - seguendo a ruota di Civati, che ieri ha annunciato un referendum contro i «nominati» dell'Italicum - vota contro il governo dalla sua nascita, scende in piazza contro qualsiasi iniziativa di Renzi, dà interviste quotidiane in cui parla del segretario del suo partito come se fosse Hitler e minaccia a giorni alterni di andarsene. Comportamenti che, all'epoca della «Ditta» bersaniana avrebbero attirato sanzioni da parte degli organi di partito. Renzi, invece, si guarda bene dal fare ai dissidenti il favore di metterli alla porta, regalando loro visibilità. Si limita ad ignorarli, lasciando intendere che - se proprio vogliono andarsene - il Pd se ne farà una ragione. Non saranno un problema. Se proprio deve preoccuparsi Matteo preferisce guardare dall'altra parte: «Berlusconi finito? «Occhio, ha più vite di un gatto».

Ieri Fassina, in una missiva al premier, spiega che la riforma renziana della scuola è tutta sbagliata, che è impegnato ventre a terra a modificarla secondo le aspirazioni della Camusso («questo tentativo assolve tutte le mie energie», scrive in malcerto italiano), ma che prima o poi verrà il tempo delle decisioni irrevocabili: «Quel che è successo col Jobs Act prima e sulla scuola poi è il tracciato di un percorso che per me è insostenibile». Renzi non pare intenzionato a farne un dramma, ma questo scuote profondamente la psiche della minoranza Pd. Se ne fa portavoce l'ex capogruppo Roberto Speranza: «Renzi sbaglia. Non è un problema solo di Fassina. È un problema di tutto il Pd», assicura. Anche Gianni Cuperlo si mostra preoccupato per le sofferenze fassiniane, e avverte Renzi: «Se persone valide come Civati e Cofferati lasciano il Pd, o Fassina riflette a voce alta sulla possibilità di fare la stessa cosa, la replica non può essere che è un problema loro: il problema è tuo, il problema è nostro».

Renzi però non pare intenzionato a farsi togliere il sonno dai dubbi di Fassina & Co., liquidati come «la sinistra masochista, quella che perde un po' ovunque, dalla Liguria a Londra, e poi scappa col pallone, come fece Cofferati». Il suo Pd, spiega, «non è un minestrone dove entra di tutto». E una cosa è certa: «Non è che si è di sinistra solo se ci sono D'Alema e Bersani», figurarsi Fassina e Civati. Proprio i malumori che covano dentro il Pd hanno convinto Renzi a rinviare a dopo le Regionali l'elezione del nuovo capogruppo, chiamato a sostituire Speranza. Oggi era prevista l'assemblea dei deputati Pd con Renzi, che secondo le ipotesi più accreditate avrebbe dovuto lanciare l'attuale vicario Ettore Rosato, renziano. Negli ultimi giorni però si erano moltiplicate le ipotesi alternative: l'esponente della sinistra Enzo Amendola, il veltroniano Andrea Martella, persino il vicesegretario Guerini. E anche i segnali di pericolo che, a scrutinio segreto, il candidato renziano perdesse parecchi voti. Il nuovo capogruppo sarà scelto nell'ambito di un più ampio riassetto che coinvolgerà gruppo, governo e anche partito.

Sul Jobs Act e sulla scuola il Pd ha preso un tracciato

insostenibile

di Laura Cesaretti

Roma

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